SENTENZA N. 466 Anno 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
– Cesare RUPERTO Presidente
– Riccardo CHIEPPA Giudice
– Gustavo ZAGREBELSKY ”
– Valerio ONIDA ”
– Carlo MEZZANOTTE ”
– Fernanda CONTRI ”
– Guido NEPPI MODONA ”
– Piero Alberto CAPOTOSTI ”
– Annibale MARINI ”
– Franco BILE ”
– Giovanni Maria FLICK ”
– Francesco AMIRANTE ”
– Ugo DE SIERVO ”
– Romano VACCARELLA ”
– Paolo MADDALENA ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), promosso con ordinanza emessa il 31 gennaio 2001 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da Adusbef-Associazione utenti e consumatori ed altri contro la Presidenza del Consiglio dei ministri ed altri, iscritta al n. 374 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti gli atti di costituzione di Adusbef, di Centro Europa 7 s.r.l., di Rete A s.r.l., di TV Internazionale s.p.a. ed altra, di Prima TV s.p.a. ed altra, di R.T.I.-Reti televisive Italiane s.p.a. e della Rai-Radiotelevisione Italiana s.p.a., nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.
Udito nell’udienza pubblica dell’8 ottobre 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;
uditi gli avvocati Massimo Cerniglia per Adusbef, Giuseppe Oneglia, Renzo Vistarini e Raffaele Izzo per Centro Europa 7 s.r.l., Federico Sorrentino per Rete A s.r.l., Piero D’Amelio per TV Internazionale s.p.a. ed altra, Felice Vaccaro e Giuseppe Morbidelli per Prima TV s.p.a. ed altra, Aldo Bonomo, Aldo Frignani e Luigi Medugno per R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a., Filippo Satta per la RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a. e l’Avvocato dello Stato Giorgio D’Amato per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.— Con ricorso del 25 ottobre 1999 l’Adusbef-Associazione utenti e consumatori, la Tbs-Television Broadcasting System s.p.a, il Cnt-Coordinamento nazionale televisioni, il Comitato per la tutela dei diritti della libera manifestazione del pensiero e del pluralismo e l’Associazione utenti televisivi adivano il Tribunale amministrativo regionale del Lazio chiedendo l’annullamento: 1) dei provvedimenti, emessi in data 30 luglio 1999 (rectius: 28 luglio 1999), dal Ministro delle comunicazioni di rilascio delle concessioni ed autorizzazioni per la radiodiffusione televisiva privata in ambito nazionale su frequenze terrestri; 2) del regolamento per il rilascio delle suddette concessioni, approvato con deliberazione 1° dicembre 1998 dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom); 3) del regolamento e del disciplinare per il funzionamento della Commissione per la determinazione degli aventi diritto alle concessioni; 4) dei provvedimenti di negazione del diritto di accesso.
Nel corso di tale giudizio, il Tar adito ha sollevato, con ordinanza 31 gennaio 2001, questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), in riferimento agli artt. 3, 21, 136, nonché, nella sola motivazione, all’art. 41 della Costituzione.
2.— Osserva il Tribunale rimettente che le norme impugnate, pur prescrivendo, in ossequio a quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 420 del 1994, che non è consentito ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale, hanno poi demandato all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di “stabilire un periodo transitorio nel quale non vengono applicati i limiti” suddetti (art. 2, comma 6); più in particolare, continua il giudice a quo, l’art. 3, comma 6, consentirebbe l’esercizio delle reti eccedenti “a condizione che le trasmissioni siano effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo”, nonché “esclusivamente via cavo o via satellite”, dopo lo spirare del termine che l’Autorità — “in relazione all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo” — avrebbe indicato (art. 3, comma 7).
Il descritto assetto normativo avrebbe determinato, secondo il Tar, una evidente violazione dei principi della ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa economica, così come affermati dalla citata sentenza n. 420 del 1994, il cui contenuto risulterebbe, quindi, palesemente eluso, con l’ulteriore violazione dell’art. 136 della Costituzione. Le disposizioni legislative denunciate, attribuendo, infatti, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni un potere non delimitato nel tempo, consentirebbero l’indefinita protrazione del regime televisivo giudicato incostituzionale.
3.— Il Tar ritiene che le questioni sollevate siano rilevanti per la definizione del giudizio instaurato, sottolineando che l’insieme degli atti impugnati sarebbe stato adottato nella vigenza del predetto regime transitorio. Il rilascio delle concessioni sarebbe avvenuto, pertanto, utilizzando “le risorse quali risultavano disponibili dopo aver assicurato, in applicazione della normativa impugnata, la continuità della gestione alle imprese che superavano il predetto limite”, con la conseguenza che, ove il detto regime transitorio venisse caducato, “risulterebbe incrementata la disponibilità di frequenze da assegnare ad altri aspiranti, con evidente beneficio del pluralismo nella manifestazione del pensiero e nell’informazione”.
4.— Le questioni di costituzionalità sono ritenute dal giudice a quo non manifestamente infondate in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione, nonché in riferimento al principio della libertà di iniziativa economica, richiamato nella sola motivazione dell’ordinanza.
Il collegio rimettente sottolinea, a tal proposito, che la richiamata sentenza n. 420 del 1994 avrebbe consentito la protrazione — limitatamente al periodo transitorio indicato dal decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323 (Provvedimenti urgenti in materia radiotelevisiva) — del regime previsto dall’art. 15, comma 4, della legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato), dalla stessa sentenza giudicato incostituzionale, nonché la provvisoria legittimazione dei concessionari a proseguire nell’attività di trasmissione, così escludendosi un “vuoto” normativo.
Tale periodo, che non avrebbe dovuto superare la data dell’agosto del 1996, è stato prorogato fino al 31 luglio del 1997 dal decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545 (Disposizioni urgenti per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva), convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 650. La legge n. 249 del 1997, anziché sancire — prosegue il collegio rimettente — il definitivo superamento del precedente assetto normativo dichiarato incostituzionale, avrebbe rinviato ad una data imprecisata l’efficacia dei limiti anticoncentrativi dalla stessa previsti, con consequenziale violazione degli artt. 3 e 21 della Costituzione, nonché dell’art. 136 per elusione del giudicato costituzionale di cui alla citata sentenza n. 420 del 1994.
Il collegio rimettente conclude ritenendo non condivisibili i rilievi prospettati dai controinteressati, secondo i quali, da un lato, il legislatore conserverebbe un ampio margine di discrezionalità nel graduare nel tempo trasformazioni coinvolgenti rilevanti interessi, dall’altro sarebbe pienamente legittimo il conferimento di poteri regolatori ad un’Autorità amministrativa indipendente, al fine di determinare il momento più opportuno per la transizione dal regime provvisorio a quello definitivo. Osserva, infatti, il Tar del Lazio che “la sentenza n. 420 del 1994 ha già accordato al legislatore una moratoria di circa due anni, inutilmente decorsa ed illegittimamente dilatata”, e che “degli istituti invocati dalle parti resistenti non può farsi un uso strumentale, che si risolva nella grave lesione del giudicato costituzionale e nella plateale violazione dei principi in esso affermati”.
5.— E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, nella persona dell’avvocato Giorgio D’Amato, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata.
In particolare, si sostiene l’inammissibilità per difetto di rilevanza sulla base del seguente ordine di motivi:
a) l’ordinanza di rimessione fonderebbe il giudizio di rilevanza sull’erroneo presupposto dell’impugnazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione televisiva, rimasto, invece, “estraneo” all’oggetto del giudizio a quo;
b) il Tar assumerebbe erroneamente che le concessioni sarebbero state rilasciate utilizzando le risorse disponibili rimaste libere dopo aver assicurato la continuità della gestione alle “reti eccedenti”. L’affermazione sarebbe, secondo la difesa erariale, non corretta, in quanto tutte le frequenze destinate al servizio di radiodiffusione televisiva dal piano nazionale di ripartizione delle frequenze adottato dal Ministro delle comunicazioni sono state assegnate dal piano elaborato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. L’eventuale caducazione del regime transitorio censurato non potrebbe comportare, pertanto, l’incremento della disponibilità di frequenze da attribuire ad altri aspiranti, come ritenuto, invece, dal giudice rimettente;
c) quest’ultimo, inoltre, considererebbe applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio il comma 6 dell’art. 2 della legge n. 249 del 1997. La predetta disposizione, rileva l’Avvocatura, si indirizza, viceversa, ai soli programmi in tecnica digitale (o numerica) e non anche a quelli trasmessi in tecnica analogica, che sono gli unici ad essere presi in considerazione dai provvedimenti impugnati.
Inoltre, il medesimo art. 2, comma 6, quando menziona le “autorizzazioni” si riferirebbe esclusivamente ai provvedimenti autorizzatori rilasciati sia per la ripetizione di segnali di emittenti estere o della concessionaria pubblica di cui agli artt. 38 e 43 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), sia per i trasferimenti di proprietà di società esercenti l’attività radiotelevisiva di cui all’art. 1, comma 6, lettera c), numero 13, della stessa legge n. 249 del 1997. La norma, dunque, non disciplinerebbe la situazione delle reti eccedenti, per l’esercizio delle quali non occorrerebbe alcuna autorizzazione ministeriale.
L’Avvocatura generale dello Stato conclude le proprie argomentazioni difensive, in punto di rilevanza, ritenendo la questione sollevata astratta perché non strumentale alla tutela delle posizioni soggettive azionate nel giudizio.
Sotto altro profilo, la difesa dello Stato deduce l’inammissibilità della questione sollevata, in quanto il suo accoglimento inciderebbe sulla scelta legislativa di determinare le modalità di messa a regime del sistema misto disciplinato dalla legge censurata.
6.— Nel merito, l’Avvocatura sostiene l’infondatezza delle censure con riferimento a tutti i parametri costituzionali evocati.
Il rimettente non avrebbe, infatti, spiegato le ragioni dell’asserita violazione dei principi del pluralismo e di ragionevolezza, limitandosi a richiamare l’ordine delle argomentazioni sviluppato nella sentenza n. 420 del 1994.
Il richiamo sarebbe non corretto, nella prospettiva della difesa erariale, secondo la quale l’attuale giudizio si svolgerebbe sotto la vigenza di un diverso assetto normativo che, in ossequio alle prescrizioni contenute nella predetta decisione, avrebbe limitato il numero delle reti assentibili ad uno stesso operatore privato (art. 2, comma 6).
Ad avviso dell’Avvocatura la disciplina contenuta nell’art. 3, commi 6 e 7, non potrebbe protrarre, senza soluzione di continuità, il regime transitorio precedente il 1997. La norma, infatti, risponderebbe ad una logica coerente con il differente scenario normativo e tecnico (legato alla rivoluzione digitale e al processo di convergenza in atto) nel quale si applicherebbe.
La rapida evoluzione tecnologica, conclude l’Avvocatura, ha portato di recente il legislatore a differire, con decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, nella legge 20 marzo 2001, n. 66, i termini per il rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata in ambito locale su frequenze terrestri in tecnica analogica. Ciò al fine di favorire, senza gravosi oneri di riconversione e ristrutturazione, il migliore e più rapido passaggio ad un sistema di trasmissione in tecnica digitale.
7.— E’ intervenuta nel giudizio l’Adusbef-Associazione utenti e consumatori, rappresentata e difesa dall’avvocato Massimo Cerniglia, chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale, con richiamo alle argomentazioni già contenute nell’ordinanza del Tar.
8.— Si è costituita la RAI-Radiotelevisione Italiana s.p.a., rappresentata e difesa dall’avvocato Filippo Satta, sostenendo che la questione, nei termini prospettati dall’ordinanza di rimessione, non è fondata.
In particolare, la società deducente ha contestato che la disciplina contenuta nella legge n. 249 del 1997 possa essere qualificata quale proroga pura e semplice del regime transitorio instaurato con il decreto-legge n. 323 del 1993, e proseguito con l’emanazione del decreto-legge n. 545 del 1996. La suddetta legge avendo introdotto, infatti, una nuova e più restrittiva disciplina antitrust, con fissazione al 20% del limite anticoncentrativo, si sarebbe adeguata ai principi affermati dalla sentenza n. 420 del 1994.
La previsione, poi, di un regime transitorio di deroga al suddetto limite risponderebbe, secondo la difesa della RAI, alla profonda e coerente razionalità di consentire agli operatori privati “eccedenti” di continuare in questa fase di transizione a trasmettere in simulcast, in attesa che la maturazione del mercato satellitare consenta di riversare sullo stesso l’intera attività radiodiffusiva, con conseguente possibilità di cedere a terzi la concessione terrestre eccedentaria “in maniera industrialmente ed economicamente indolore”.
Quanto all’assunta violazione dell’art. 21 della Costituzione, la difesa della RAI sottolinea che la riduzione di un operatore in eccedenza non sarebbe da sola sufficiente ad assicurare il pluralismo. Una disciplina antimonopolistica che intenda garantire il pluralismo esterno non potrebbe prescindere, si sostiene, dalla concreta situazione del mercato assoggettato a controllo. In questa prospettiva assumerebbe valenza determinante la valutazione del bacino di utenza coperto dal gestore, a prescindere dal numero delle reti televisive possedute.
La difesa della concessionaria del servizio pubblico conclude affermando che le condizioni per la trasformazione del settore radiotelevisivo sarebbero ormai mature. L’innovazione tecnologica numerica terrestre consentirà un aumento illimitato della disponibilità di radiofrequenze assegnabili, con conseguente accentuazione del pluralismo informativo.
La stessa Autorità per le garanzie nelle comunicazioni avrebbe confermato, secondo la difesa della RAI, l’avvenuto mutamento della situazione del mercato, affermando, con deliberazione 13 giugno del 2000, n. 365, che l’istruttoria volta ad accertare la sussistenza delle condizioni per l’adozione della misura anticoncentrativa di cui all’art. 3, commi 6 e 7, è oramai pressoché conclusa.
9.— Si è costituita in giudizio la società Rete A s.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Federico Sorrentino, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata.
In via preliminare, viene ribadita la sussistenza della rilevanza delle sollevate questioni atteso che l’accoglimento delle stesse condurrebbe non solo all’annullamento delle autorizzazioni rilasciate alle reti eccedenti, ma finirebbe anche per incidere sui criteri seguiti dall’Agcom nell’assegnazione delle frequenze e nella stessa determinazione del numero delle reti a copertura nazionale.
Nel merito, la società deducente osserva, innanzitutto, che la normativa impugnata, non rispettando le prescrizioni contenute nella sentenza n. 420 del 1994, violerebbe l’art. 136 della Costituzione.
In ordine all’inosservanza dell’art. 21 della Costituzione, la difesa della parte sostiene che la disciplina censurata, consentendo il superamento dei limiti anticoncentrativi per un periodo di tempo indeterminato, si porrebbe in netto contrasto con il principio del pluralismo informativo. Né varrebbe l’obiezione relativa alla valenza temporanea delle disposizioni in esame. Rileva la difesa di Rete A che già in altre occasioni la Corte ha salvato la normativa radiotelevisiva da una declaratoria di incostituzionalità facendo leva sulla assunta transitorietà della stessa, cui, però, non sarebbe mai seguita una disciplina conforme alle indicazioni costituzionali.
La durata del periodo transitorio — legata ad una valutazione discrezionale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni — sarebbe, nella prospettiva della esponente, guidata dall’esigenza di assicurare il passaggio al sistema satellitare o via cavo senza alcuna perdita economica per il soggetto interessato, al fine di tutelare le imprese operanti in violazione delle regole anticoncentrazione, relegando sullo sfondo l’esigenza — in realtà primaria — di garantire il rispetto del principio del pluralismo informativo.
La società conclude le proprie argomentazioni difensive sottolineando la necessità che la Corte estenda, in via consequenziale, la dichiarazione di illegittimità costituzionale anche all’art. 3, comma 11, quarto periodo, della legge n. 249 del 1997. Tale disposizione attribuirebbe, infatti, all’Autorità lo stesso potere discrezionale nella determinazione del periodo di permanenza nell’etere anche della seconda emittente criptata (Tele+Nero).
10.— Si è costituita la società R.T.I.-Reti Televisive Italiane s.p.a., rappresentata e difesa dagli avvocati Aldo Bonomo, Aldo Frignani, Luigi Medugno e Avilio Presutti, eccependo, in via preliminare, l’inammissibilità per irrilevanza delle sollevate questioni per le stesse motivazioni illustrate dalla difesa erariale. La deducente, sul punto, aggiunge che, allo stato, nessuna delle reti in esercizio è assegnataria di frequenze, che verranno determinate nell’ulteriore fase di progettazione, rinviata, secondo quanto previsto negli atti di concessione, al termine di 24 mesi dal 31 luglio 1999, con possibilità di proroga.
Il problema dell’uso e della giusta distribuzione della provvista di frequenze disponibili potrà, pertanto, divenire attuale soltanto alla scadenza del predetto termine; anche se — sempre secondo la difesa di R.T.I. — il sopravvenuto accantonamento del piano analogico per effetto dell’art. 2-bis della legge n. 66 del 2001 renderà vana qualunque attesa.
Nel merito, si sostiene la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997, che fissando il limite anticoncentrativo del 20%, avrebbe recepito puntualmente il dettato della sentenza n. 420 del 1994.
Ad avviso della società R.T.I., la prospettata questione di incostituzionalità dell’art. 3, commi 6 e 7, sarebbe anch’essa manifestamente infondata.
La disciplina transitoria, infatti, risulterebbe legittima per un duplice ordine di motivi. Innanzitutto, perché garantirebbe il principio del pluralismo informativo, impedendo l’estinzione di una emittente nazionale, cui non potrebbe seguire il subingresso di un nuovo operatore privato. In secondo luogo, perché alla stessa rete “eccedente” il legislatore avrebbe attribuito un ruolo di traino verso la maggiore diversificazione dei mezzi di trasmissione, funzionale al più rapido sviluppo della tecnologia digitale.
La normativa transitoria, conclude l’esponente, non potrebbe essere considerata come mera prosecuzione temporale del regime giuridico esistente prima della sentenza n. 420 del 1994. L’emittente “fuori limite” (identificata in Retequattro) svolgerebbe, infatti, rispetto al passato, la sua attività di trasmissione via etere sulla base di un titolo non stabile, con consequenziali ripercussioni sull’intera fisionomia dell’attività di impresa dalla stessa svolta.
La società sottolinea, infine, che la preoccupazione manifestata dal giudice rimettente di una indefinita protrazione dell’attuale sistema regolamentare per lo stato dell’evoluzione tecnologica sarebbe sconfessata dall’attività posta in essere dall’Autorità di settore e dalle recenti novità normative.
Nella deliberazione n. 365 del 2000 (sopra citata) l’Autorità ha, infatti, ritenuto pressoché conclusa l’istruttoria sulla misura anticoncentrativa ad essa demandata dal legislatore ex art. 3, commi 6 e 7.
Il decreto-legge n. 5 del 2001 ha previsto il rilascio delle licenze e delle autorizzazioni per le trasmissioni digitali — da parte del Ministero per le comunicazioni — in base ad un regolamento da adottarsi, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, entro il 30 giugno 2001.
11.— Si sono costituite le società TV Internazionale s.p.a e Beta television s.r.l., rappresentate e difese dagli avvocati Alessandro Pace, Piero D’Amelio e Ottavio Grandinetti, chiedendo l’accoglimento delle sollevate questioni di legittimità costituzionale.
Le disposizioni impugnate — evidenzia la difesa delle predette società — realizzerebbero una protrazione, con aggravio, del precedente assetto normativo giudicato incostituzionale dalla sentenza n. 420 del 1994. L’attuale piano di assegnazione delle frequenze consentirebbe, infatti, la concentrazione in capo ad un unico operatore privato di tre reti sulle undici (e non più dodici) complessivamente pianificate.
L’occupazione illegittima da parte delle tre reti R.T.I. di un cospicuo numero di radiofrequenze terrestri impedirebbe, inoltre, di ridurre l’attuale disparità di trattamento esistente tra queste ultime e le altre reti nazionali nella copertura televisiva via etere terrestre.
La difesa delle società afferma che la mancanza di un parametro normativamente stabilito, secondo i principi propri della riserva di legge, nella definizione del potere attribuito all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni confermerebbe la illegittimità delle norme denunciate.
I deducenti sostengono, infine, che dovrebbe essere dichiarata l’incostituzionalità consequenziale dell’art. 3, comma 11, della stessa legge n. 249 del 1997, il quale, pur prescrivendo che “nessun soggetto può essere destinatario di più di una concessione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale per la trasmissione di programmi in forma codificata”, vanificherebbe tale divieto consentendo il permanente utilizzo della seconda rete criptata, sia pure in via provvisoria, “alle stesse condizioni e termini previsti dai commi 6 e 7” dello stesso articolo.
Nello svolgimento delle successive argomentazioni difensive sul punto, le società assumono l’incostituzionalità non soltanto della disciplina “provvisoria” delle trasmissioni codificate, ma anche di quella “a regime”. La ragione sarebbe insita nella stessa natura limitata delle frequenze radioelettriche, che non potrebbero, in quanto tali, essere assegnate ad emittenti criptate. Tale assegnazione ridurrebbe, infatti, inevitabilmente il numero delle opzioni informative disponibili per quei cittadini che non intendessero sottoscrivere un abbonamento ad una pay-tv.
La scelta legislativa risulterebbe, pertanto, ad avviso delle esponenti, irrazionale e lesiva del pluralismo, nonché “in contrasto con i limiti dell’utilità sociale e dell’interesse generale, i quali, ai sensi degli artt. 41 e 42, primo comma, seconda parte, della Costituzione, devono caratterizzare la disciplina dei beni (come l’etere) assoggettati al governo dello Stato”.
Ancora secondo la difesa della società la gravità dell’espediente legislativo volto a neutralizzare i divieti contenuti, rispettivamente, nell’art. 2, comma 6, e nell’art. 3, comma 11, si misurerebbe alla luce della previsione, contenuta nell’art. 17, comma 2, del regolamento per il rilascio delle concessioni, dell’eventuale “subentro” di un terzo interessato nella posizione “utile” occupata in graduatoria da “Retequattro” e da “Tele+ Nero”, qualora “entro il termine di cui ai commi 6 e 7 dell’art. 3 della legge risultino rimosse le condizioni ostative all’esercizio, sulle frequenze terrestri in tecnica analogica, delle reti eccedenti”. Il che dovrebbe consentire la possibilità di un eventuale subentro “in soprannumero” da parte di un terzo acquirente, con la grave conseguenza di impedire l’attuazione delle concessioni rilasciate nel luglio del 1999. Non si potrebbe, infatti, così trasferire alle altre emittenti le frequenze “necessarie” per la copertura del territorio.
12.— Si sono costituite le società Prima TV s.p.a. ed Europa TV s.p.a., rappresentate e difese dagli avvocati Roberto Afeltra e Felice Vaccaro, le quali, in via preliminare, chiedono che la Corte dichiari inammissibili le questioni per difetto di rilevanza. La sopravvivenza transitoria delle due reti eccedenti non avrebbe, infatti, causato una minore disponibilità di frequenze assegnabili. Sul punto vengono sviluppate argomentazioni difensive analoghe svolte dall’Avvocatura generale dello Stato e dalla società R.T.I.
Nel merito, le predette società deducono l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997, atteso che le Tele+ non avrebbero mai debordato dal limite anticoncentrativo del 20%.
Quanto alla violazione dell’art. 3, commi 6 e 7, della stessa legge, le esponenti evidenziano, con argomentazioni analoghe a quelle esposte dalla società R.T.I., il pericolo di estinzione di una emittente nazionale senza contestuale aumento del pluralismo informativo.
13. — Si è costituita la società Centro Europa 7 s.r.l., rappresentata e difesa dagli avvocati Giuseppe Oneglia, Renzo Vistarini e Raffaele Izzo, ripercorrendo l’iter motivazionale dell’ordinanza del Tar e condividendo le censure di incostituzionalità sollevate. La società aggiunge che l’attuale normativa di settore le impedirebbe di utilizzare concretamente le frequenze che le sono state assegnate nella fase di pianificazione, e conclude per l’accoglimento delle questioni sollevate.
14.— Nell’imminenza dell’udienza pubblica del 6 novembre 2001, sono state depositate ulteriori memorie difensive.
L’Avvocatura generale dello Stato ribadisce l’erronea valutazione della rilevanza effettuata dal giudice rimettente, aggiungendo che esula dall’oggetto della questione sollevata dal Tar qualunque valutazione attinente alla non equivalente copertura del territorio nazionale da parte delle reti, così come eventuali illegittimità dei provvedimenti amministrativi adottati.
Si precisa, ad ogni modo, che l’eventuale caducazione delle norme impugnate non determinerebbe un incremento della disponibilità di frequenze per gli altri concessionari, atteso che: a) le frequenze occupate dalla rete “eccedente” non sarebbero corrispondenti a quelle di una rete configurata nel piano; b) non si potrebbe effettuare una assegnazione provvisoria in mancanza di specifica indicazione del piano stesso.
La difesa erariale evidenzia, inoltre, che una eventuale sentenza di accoglimento inciderebbe negativamente sul c.d. piano di “disarmo bilanciato” predisposto dal legislatore del 1997, che vorrebbe una contestuale attuazione delle norme di cui all’art. 3, commi 6, 7 e 9, della legge n. 249 del 1997 (quest’ultimo comma è relativo al programma di ristrutturazione di una delle reti della RAI in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie).
Nel merito, l’Avvocatura si sofferma ampiamente sulla nuova tecnica di trasmissione digitale per evidenziare che l’aumento del numero dei programmi irradiabili non può non avere una ricaduta sui criteri di adeguamento ai principi costituzionali in materia.
Il nuovo scenario digitale riceverà completa definizione, continua la difesa erariale, entro l’anno 2006, secondo quanto disposto dall’art. 2-bis, comma 5, della legge n. 66 del 2001; medio tempore verrà consentita la sperimentazione della diversa tecnica di trasmissione con obbligo dei soggetti titolari di più di una concessione di riservare almeno il 40% della capacità di trasmissione di ciascun blocco di programmi ad altri operatori. Riferisce sempre l’Avvocatura che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con deliberazione del 7 agosto 2001, n. 346, sulla base della predetta normativa e all’esito di approfondite analisi di mercato, ha fissato il termine del 31 dicembre 2003 per il definitivo abbandono dell’etere terrestre da parte delle reti eccedenti, con riserva di rivedere il termine stesso entro il 31 gennaio 2003, prevedendo che alla data per prima indicata, almeno il 50% della popolazione sarà in grado di ricevere segnali televisivi digitali e satellitari.
Per le esposte ragioni, l’Avvocatura conclude, anche alla luce delle menzionate novità legislative e provvedimentali, nel senso della inammissibilità o infondatezza della questione sollevata.
15.— La difesa della RAI s.p.a. si richiama anch’essa al contenuto della legge n. 66 del 2001 e al provvedimento n. 346 del 2001 dell’Autorità per evidenziare come la soglia del 50% — ritenuta dall’Agcom stessa un giusto “bilanciamento tra la necessità di procedere ad una rapida deconcentrazione e le esigenze economiche delle imprese” — appaia rispondente ai criteri di ragionevolezza e proporzionalità.
Dopo aver sottolineato la natura del tutto eterogenea della misura prevista dall’art. 3, comma 9, rispetto alle misure anticoncentrative disposte dai commi 6 e 7 dello stesso art. 3, la deducente insiste nella dichiarazione di infondatezza della questione sollevata dal Tar.
16.— La difesa di Rete A s.r.l. mette in evidenza, nella memoria depositata, che il termine del 31 dicembre 2003 fissato dall’Agcom è: a) eccessivamente lontano in relazione alla perdurante situazione di accertata illegittimità; b) non “credibile” alla luce della facoltà di proroga prevista; c) “smentito” da altre analisi di mercato, secondo le quali la diffusione digitale interesserà il 60% delle famiglie italiane soltanto nel 2017.
La deducente aggiunge, inoltre, che il legislatore e l’Agcom avrebbero disegnato un circolo vizioso, attribuendo il compito di stimolare e accelerare il passaggio alle nuove tecnologie ai principali operatori privati, che hanno interesse a ritardare l’attuazione di un sistema che porterà alla perdita della rete “eccedente”.
La parte insiste, pertanto, per l’accoglimento della questione sollevata.
17.— La difesa di R.T.I. s.p.a., rispetto alle argomentazioni difensive prospettate nell’atto di costituzione, sottolinea la necessità di una rinnovata valutazione del requisito della rilevanza ad opera del giudice a quo, in quanto: a) non sarebbe stata impugnata, da parte dei ricorrenti, la deliberazione n. 346 del 2001 dell’Agcom; b) tale deliberazione ha fissato il termine finale del regime transitorio, con consequenziale venuta meno della natura indeterminata delle disposizioni censurate. Da qui la prospettata necessità di una restituzione degli atti al giudice a quo, già altre volte, effettuata dalla Corte in presenza di ius superveniens contenuto in atti non aventi forza di legge (vengono citate la sentenza n. 177 del 1991 e l’ordinanza n. 173 del 1973).
Il suddetto provvedimento dell’Autorità viene richiamato anche al fine di riaffermare l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale, atteso che non sussisterebbe più né il rischio di una protrazione indefinita del regime transitorio, né una applicazione dello stesso per un periodo ancora eccessivamente lungo.
In questo quadro si inserirebbe la legge n. 66 del 2001, che avrebbe integrato il regime transitorio previsto dalla legge n. 249 del 1997, rispettando le indicazioni date dalla sentenza n. 420 del 1994.
Dopo aver ricordato le disposizioni più rilevanti del nuovo assetto televisivo “imposto” dal legislatore, la difesa di R.T.I. sostiene che le attuali reti “eccedentarie” dovranno — alla luce, soprattutto, di quanto statuito dall’art. 2-bis della legge citata — svolgere un ruolo trainante del sistema verso la conversione delle tecniche di trasmissione e conseguentemente verso la migliore attuazione del principio del pluralismo informativo.
La società deduce, inoltre, che una ipotetica dichiarazione di illegittimità costituzionale determinerebbe il crollo dell’intero sistema televisivo, in quanto: a) verrebbe a cadere l’insieme degli atti impugnati; b) le imprese sarebbero private dei titoli abilitativi, tornando ad operare in una situazione di precarietà ed incertezza; c) non sarebbe possibile assegnare frequenze “ad altri aspiranti”, atteso che, venute meno le concessioni, tutti i soggetti diventerebbero soltanto “aspiranti”; d) non si potrebbe procedere all’assegnazione di frequenze in presenza di un piano “annullato”.
A questo, la difesa della parte aggiunge che l’impossibilità di assegnazione delle frequenze deriverebbe anche dal fatto che le stesse sarebbero localizzate in determinati punti di irradiazione, suscettibili, in quanto tali, di utilizzazione soltanto mediante gli impianti disattivati. Tutto questo evidenzierebbe l’errore in cui sarebbe incorso il giudice rimettente; da ciò la rafforzata necessità di un riesame della rilevanza della questione da parte di quest’ultimo.
18.— La difesa di TV Internazionale s.p.a. e di Beta Television s.r.l., in ordine alle diverse eccezioni sollevate dalle parti costituite sulla rilevanza della questione, replica che, affinché la questione di legittimità costituzionale possa dirsi rilevante, è sufficiente “una non implausibile motivazione sulla applicabilità nel giudizio a quo delle disposizioni” censurate; osserva che, in ogni caso, nell’ipotesi concreta la rilevanza deriva dal fatto che il trasferimento sul satellite delle reti eccedenti consentirebbe di “recuperare” un numero elevato di radiofrequenze suscettibili di nuova assegnazione.
Nel merito, le società ribadiscono la “consecuzione” temporale e concettuale esistente tra la disciplina oggetto della sentenza n. 420 del 1994 e la legge n. 249 del 1997, attestata dal fatto che la rete eccedente di R.T.I. continuerebbe ad operare grazie al rilascio della concessione avvenuta nel 1992 sulla base dell’art. 15, comma 4, della legge n. 223 del 1990, dichiarato incostituzionale con sentenza n. 420 del 1994.
Le deducenti affermano, inoltre, in risposta alla sostenuta assenza di effetti favorevoli al pluralismo in caso di cessazione dell’attività delle reti eccedenti, che una sentenza di accoglimento consentirebbe all’emittente Centro Europa 7 di iniziare ad operare nel mercato e, più in generale, agli altri soggetti concessionari di ottenere le frequenze in concreto assegnate.
Quanto alla dedotta influenza dell’innovazione tecnologica digitale sulla garanzia del pluralismo osserva che tale influenza non sarebbe attuale, tenuto conto che la tecnologia digitale sostituirà quella analogica soltanto “entro l’anno 2006”, quando già saranno scadute le concessioni sessennali rilasciate nel luglio del 1999.
La situazione, ad avviso delle deducenti, non è mutata né con la fissazione del termine ad opera della deliberazione dell’Agcom n. 346 del 2001 (termine ritenuto inattendibile e suscettibile di successive proroghe), né con l’emanazione della legge n. 66 del 2001. Gli artt. 1 e 2-bis di detta legge sarebbero, anzi, anch’essi incostituzionali perché: a) l’art. 1 impedirebbe alle amministrazioni competenti — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41 e 97 della Costituzione — di esercitare le funzioni di governo dell’etere, là dove consente alle reti (anche prive di concessioni) di proseguire nell’esercizio delle loro trasmissioni sino all’attuazione del nuovo piano digitale; b) gli artt. 1 e 2-bis perpetuerebbero sino al 2007 — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 97 e 136 della Costituzione — uno stato di fatto già dichiarato incostituzionale, consentendo, al contempo, che l’etere terrestre continui — in contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 42 e 97 — ad essere utilizzato dalle emittenti criptate di un solo gruppo imprenditoriale.
La difesa delle società insiste, pertanto, nelle conclusioni già rassegnate nell’atto di costituzione e nella richiesta di dichiarazione di incostituzionalità consequenziale delle norme da ultimo richiamate.
19.— La difesa di Prima TV s.p.a. ed Europa TV s.p.a. prospetta, innanzitutto, la violazione del principio di pari trattamento, per l’ingiustificato regime giuridico che caratterizza le trasmissioni criptate rispetto a quelle in chiaro.
Le deducenti, dopo aver sottolineato il rapporto di stretta dipendenza esistente tra impianti e frequenze secondo quanto già riferito dalla difesa di R.T.I, chiedono che la Corte disponga la restituzione degli atti al giudice a quo a seguito della emanazione della più volte citata deliberazione della Agcom n. 346 del 2001.
20.— La società Centro Europa 7 s.r.l. — dopo aver sostenuto l’irrilevanza ai fini della decisione della sopravvenuta fissazione del termine da parte dell’Agcom secondo le linee difensive già tracciate dalla società Rete A — sottolinea che tuttavia l’emittente da essa gestita è l’unica ad avere ottenuto regolare concessione ma che non può operare per la mancata assegnazione delle frequenze da utilizzare; evidenzia la gravità dell’attuale assetto televisivo caratterizzato dalla presenza di tre reti nazionali di R.T.I. su un totale di sei effettivamente operanti, delle quali due “Tele+Bianco e Telemarket (Elefante) non farebbero informazione, la prima in quanto pay tv e la seconda perché emittente di sole televendite”; insiste, pertanto, per l’accoglimento della questione.
21.— A seguito dell’udienza pubblica del 6 novembre 2001 la Corte, con ordinanza istruttoria 3 dicembre 2001, ha disposto, “ai fini di una più completa valutazione di tutti gli aspetti della controversia e delle tesi contrapposte illustrate dalle parti”, l’acquisizione di una serie di elementi di conoscenza circa l’assetto radiotelevisivo italiano, con particolare riguardo a quello in ambito nazionale, la sua evoluzione nel tempo, specie nel periodo transitorio, e i fattori che hanno concorso a determinarlo, compresi, tra gli altri, gli aspetti tecnici (tecnologie di trasmissione, impianti, frequenze, copertura del territorio, ecc.), economici (assetti proprietari, accordi tra emittenti, ecc.) e finanziari (entrate e costi, entità e distribuzione della raccolta pubblicitaria, ecc.).
La Corte, con la predetta ordinanza, ha previsto i termini e le modalità dell’esecuzione dell’istruttoria, affidando al Giudice relatore, quale giudice per l’istruzione, l’acquisizione degli elementi sopra indicati e la determinazione dei termini per i singoli adempimenti.
22.— Il Giudice per l’istruzione ha disposto l’acquisizione degli elementi di conoscenza indicati, inoltrando formale richiesta al Ministero delle comunicazioni e all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (in data 4 febbraio 2002), nonché all’Autorità della concorrenza e del mercato (in data 14 febbraio 2002).
In relazione alle rispettive competenze tecniche è stato chiesto di indicare, con riferimento:
A. alle emittenti televisive private nazionali e alla concessionaria del servizio pubblico:
– gli impianti di radiodiffusione televisiva nazionale esercenti nei seguenti periodi: a) 1 ottobre 1984-agosto 1990 (in riferimento al decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807 – legge 6 agosto 1990, n. 223); b) agosto 1990-agosto 1993 (in riferimento al decreto-legge 27 agosto 1993, n. 323); c) agosto 1993-agosto 1996 (in riferimento al decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545); d) agosto 1996-luglio 1997 (in riferimento alla legge 31 luglio 1997, n. 249); e) luglio 1997- luglio 1999 (in riferimento alla data di rilascio delle concessioni e delle autorizzazioni per le emittenti private); f) luglio 1999 fino alla data di comunicazione della richiesta inoltrata (con aggiornamento alla data dell’adempimento istruttorio), con indicazione delle aree coperte e della localizzazione dei siti di emissione dei segnali televisivi;
B. all’evoluzione del sistema televisivo dal 1994 ad oggi:
– numero delle reti, livello di copertura del territorio e localizzazione degli impianti esercenti nel dicembre del 1994, con elencazione delle variazioni intervenute fino alla comunicazione della richiesta inoltrata (con aggiornamento alla data dell’adempimento istruttorio) e delle misure concretamente adottate “al fine di consentire e gradualmente ridimensionare le concentrazioni esistenti”;
C. ai sistemi, alle tecniche e alle modalità di trasmissione:
a) la quantità percentuale di servizi di televisione attualmente offerta con qualsiasi sistema (ad esempio: via etere terrestre; via cavo; via satellite), tecnica (ad esempio: analogica; digitale) o modalità (es. in chiaro; ad accesso condizionato) di trasmissione, con specificazione delle rispettive aree coperte e della possibile integrazione dei sistemi e delle modalità di trasmissione sotto il profilo degli impianti riceventi; b) l’andamento del “mercato degli utenti e degli operatori” dal 1997 ad oggi, con previsione sino al 2006 per ciascuno dei predetti sistemi, tecniche e modalità di trasmissione;
C.1 alla televisione digitale terrestre:
a) i dati sulla fase di sperimentazione prevista dall’art. 2-bis del decreto-legge n. 5 del 2001, con (eventuale) indicazione degli operatori privati che hanno intrapreso la suddetta sperimentazione; b) i costi degli apparecchi riceventi e/o degli adattatori necessari per la ricezione del segnale televisivo digitale trasmesso in chiaro o in forma codificata (ad esempio: set top box; decoder; sistemi di antenna individuali/centralizzati), con specificazione delle possibilità di utilizzazione/adattamento di quelli esistenti ai fini della ricezione del segnale digitale; c) i costi di installazione e di utilizzazione degli impianti di trasmissione in tecnica digitale; d) l’andamento del mercato dei predetti costi dal 1997 ad oggi, con previsione sino al 2006; e) il numero dei canali e delle reti “disponibili” con un sistema di trasmissione digitale a regime, specificando i limiti anticoncentrativi in grado di assicurare le regole concorrenziali;
D. all’attuazione del piano di assegnazione delle frequenze:
a) gli interventi tecnici e le iniziative comunque intraprese per l’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze al fine di consentire, in particolare, l’effettivo impiego delle frequenze concretamente assegnate ai singoli concessionari; b) la prevedibile durata del processo di compatibilizzazione della situazione esistente a quella prefigurata nel piano;
E. alla copertura del territorio nazionale delle emittenti televisive private in chiaro e criptate:
– l’attuale livello di illuminazione delle aree di servizio consentito alle stazioni televisive appartenenti alle emittenti private nazionali cui è stata rilasciata l’autorizzazione o la concessione nel luglio del 1999; sul punto si è chiesto di specificare, altresì: a) lo scarto esistente tra tale livello e quello raggiungibile mediante la concreta utilizzazione delle frequenze oggetto dei titoli abilitativi; b) le modalità tecniche di ridistribuzione delle frequenze necessarie per la configurazione dei siti comuni previsti nel piano;
E.1. alla copertura del territorio nazionale della concessionaria del servizio pubblico:
– l’attuale livello di illuminazione raggiunto;
F. alla convergenza multimediale:
– lo stadio di sviluppo del processo di convergenza multimediale tra il settore radiotelevisivo e delle telecomunicazioni.
Con riferimento agli aspetti economici, si è richiesto di indicare, in relazione alle rispettive competenze:
a) la situazione degli assetti proprietari di tutte le reti televisive private nazionali, nonché le situazioni di controllo e di collegamento comunque esistenti tra le emittenti e tra queste e i soggetti proprietari in ciascuno dei periodi indicati sub A);
b) gli accordi intercorsi tra le emittenti, compresi quelli di interconnessione o di trasmissione di programmi in contemporanea eccedenti l’ambito locale.
Infine, per gli aspetti finanziari, è stato richiesto, sempre avuto riguardo agli ambiti di competenza, di specificare:
a) le entrate e i costi di ciascuna rete privata e pubblica, con allegazione degli estratti di bilancio; b) le quote di audience e della raccolta pubblicitaria di tutte le emittenti private e pubbliche operanti a livello nazionale dal 1994 fino alla data dell’inoltro della richiesta (con aggiornamento alla data dell’adempimento istruttorio).
Con riferimento a tutti gli aspetti sopra riportati, è stato chiesto, inoltre, di fornire elementi in ordine al livello di concorrenza effettivo e consentito, con previsione fino al 2006, tenendo conto, tra l’altro, del numero delle imprese televisive nazionali pubbliche e private operanti, delle risorse tecniche disponibili, delle barriere all’ingresso esistenti.
In data 23 maggio 2002, il giudice per l’istruzione, a seguito dell’avvenuto deposito delle relazioni illustrative e della relativa documentazione da parte dei soggetti sopra indicati, ha chiesto al Ministero delle comunicazioni di fornire i seguenti chiarimenti:
a) in ordine alla copertura del territorio nazionale, sulla base di quali elementi si fosse accertato il superamento della soglia del 75% del territorio da parte di Canale 5 e Italia 1 e il mantenimento al di sotto di detta soglia per le altre emittenti nazionali; b) in ordine al numero dei canali e delle reti disponibili in tecnica digitale, sulla base di quali criteri fosse stato possibile ipotizzare — avendo la disponibilità di 55 canali — un numero di programmi pari a 220; c) sulle attuali e prevedibili possibilità di utilizzazione dei quattro canali previsti dal piano (analogico) nazionale di assegnazione delle frequenze (66, 67 e 68 della banda V della gamma UHF ed il canale 9 della banda III della gamma VHF) per la diffusione digitale terrestre; d) in ordine agli accordi tra emittenti, l’assetto proprietario dei seguenti soggetti: Consorzio Italia 9 Network; Circuito Odeon Tv; Consorzio Italia 3, dal momento della loro costituzione ad oggi; e) l’attuale stato dei giudizi promossi da Rete Mia, Rete A, Rete Capri, 7 Plus.
In pari data, il giudice per l’istruzione ha chiesto, altresì, all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni chiarimenti sul punto c) sopra indicato, nonché di specificare in dettaglio, in ordine al numero dei canali e delle reti disponibili in tecnica digitale, i criteri che consentirebbero — avendo la disponibilità di 55 canali — un numero di programmi complessivo pari a 144.
Infine, le due Autorità e il Ministero sono stati invitati a trasmettere (entro il 2 settembre 2002) ulteriori ed eventuali elementi di aggiornamento relativi allo stato della sperimentazione del digitale terrestre.
23.— Con memoria depositata all’esito dell’istruttoria, Centro Europa 7 s.r.l. ha sottolineato, quanto al contenuto della relazione redatta dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, come detta Autorità abbia confermato “con termini chiari ed inequivoci” che il quadro normativo delineato dalla legge n. 249 del 1997 ha “lasciato pressoché immutato il precedente assetto”, attraverso l’ulteriore proroga del periodo transitorio e il rilascio di titoli abilitativi alle reti eccedenti, con conseguente impossibilità per la esponente di utilizzare le frequenze oggetto della concessione rilasciata nel luglio del 1999; per quanto riguarda il contenuto della relazione depositata dal Ministero delle comunicazioni, ha osservato come lo stesso “non abbia potuto fare a meno di confermare” che “la proroga dell’esercizio delle emittenti televisive nazionali veniva disposta fino al 31 luglio 1999”.
La difesa della società, inoltre, contesta l’affermazione ministeriale secondo cui non vi sarebbe “legame tra le concessioni rilasciate e la disponibilità delle frequenze transitoriamente in esercizio”, mediante il richiamo all’art. 5, comma 2, del decreto ministeriale 8 marzo 1999 (Disciplinare per il rilascio delle concessioni nazionali). L’esponente conclude, sul punto, affermando che l’attuale situazione prorogherebbe con aggravio la precedente, operando allo stato, sul mercato, sei reti nazionali, di cui due (Tele+ Bianco e Telemarket) “non farebbero informazione”.
Nella memoria, infine, la parte analizza la questione di legittimità costituzionale alla luce del previsto sistema televisivo digitale, sottolineando come tutte le parti in causa, nonché le due Autorità e il Ministero, direttamente o indirettamente, abbiano ritenuto non realizzabile il passaggio alla nuova tecnica di trasmissione entro la data prefissata della fine dell’anno 2006. Vengono riportati, a tal proposito, alcuni passi della relazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in cui si manifesta la conseguente preoccupazione di una protrazione dell’attuale situazione di sostanziale duopolio con “rilevanti barriere all’ingresso” e “fenomeni collusivi a carattere escludente nei confronti di altri operatori in violazione delle regole di concorrenza”.
La difesa di Centro Europa 7 s.r.l. indica quale data realistica del passaggio al digitale l’anno 2017, precisando, però, come l’attuale questione di legittimità costituzionale abbia ad oggetto il sistema di trasmissioni televisive in tecnica analogica e non digitale, considerato anche che le concessioni rilasciate nel luglio del 1999 scadranno nel luglio del 2005 e quindi prima della programmata data di cessazione della tecnica analogica del 2006.
La società deducente afferma di condividere quanto sostenuto dalla difesa delle società TV Internazionale s.p.a. e Beta Television s.r.l., secondo cui alcune norme della legge n. 66 del 2001 “concorrono anch’esse a perpetuare la situazione di incostituzionalità denunciata dal Tar Lazio, con richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale in via consequenziale degli artt. 1 e 2-bis del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, per contrasto con gli artt. 3, 21, 41, 42, 97 e 136 della Costituzione”.
Infine, la difesa della parte deduce che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni nella propria relazione “si dimentica”, nel descrivere il panorama dell’emittenza nazionale, che il piano nazionale di assegnazione delle frequenze del 1998 è stato accantonato, con la conseguente oggettiva impossibilità per la stessa Centro Europa 7 s.r.l. di utilizzare concretamente le frequenze oggetto di concessione. La parte richiama, inoltre, l’affermazione contenuta nella “relazione aggiuntiva” predisposta dall’Autorità citata, secondo cui “la nuova assegnazione delle frequenze ha consentito una copertura di oltre l’80% del territorio nazionale e di tutti i capoluoghi di provincia. La popolazione servita è pari ad oltre il 92 % (…)”; tale asserzione viene contestata in quanto la stessa rischierebbe di creare “pericolosi equivoci”, atteso che nessuna “nuova frequenza” è stata assegnata, come, del resto, ammette lo stesso Ministero, laddove nella relazione fa riferimento all’accantonamento del piano.
L’esponente, pertanto, chiede che vengano dichiarate incostituzionali le norme censurate, compreso l’art. 3, commi 6 e 7 — qualora non si ritenga che detto articolo sia stato implicitamente abrogato dalla successiva legge 29 marzo 1999, n. 78 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell’emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo”) — , e le altre norme sopra indicate.
24.— Con memoria anch’essa depositata all’esito dell’istruttoria, l’Adusbef contesta, innanzitutto, la ricostruzione dell’assetto televisivo pubblico e privato svolta dal Ministero nella relazione depositata agli atti, in quanto la stessa farebbe pensare “che lo sviluppo dell’etere sia stato sotto il controllo dello Stato”. La difesa della parte ripercorre l’evoluzione legislativa che ha caratterizzato il settore al fine di dimostrare, di converso, la carenza di una normativa organica, rispettosa dei principi costituzionali, sottolineando la nascita di fatto dell’attuale situazione del mercato televisivo e illustrando il contenuto delle sentenze ritenute più significative emanate dalla Corte costituzionale fino alla sentenza n. 420 del 1994, cui non sarebbe stata data “esecuzione”. Viene, inoltre, riportato un passo della relazione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato in cui verrebbe fotografata, secondo l’Adusbef, l’attuale situazione in contrasto con il principio della concorrenza e del pluralismo. Allo stesso modo, l’esponente richiama parte del contenuto delle relazioni annuali al Parlamento dell’Agcom del 2000 e 2001, in cui si sarebbe rilevata la presenza di un sostanziale duopolio (Rai e Mediaset).
La difesa della parte si sofferma, poi, sulla televisione digitale terrestre, ribadendo l’impossibilità dell’avvio di detto sistema entro la data programmata del 2006 e dando atto che lo stesso si trova in uno stadio di sperimentazione che, tra l’altro, la RAI starebbe effettuando esclusivamente sul piano tecnico, senza diffusione al pubblico, in tre località.
Nell’ultima parte della memoria, l’Adusbef illustra “il concetto di pluralismo” in tutte le sue manifestazioni, anche alla luce delle esperienze degli altri Paesi, sottolineando lo stato di inattuazione di detto principio nel nostro Paese. La parte dà atto, inoltre, che “l’Autorità Antitrust Europea ha aperto una procedura nei confronti del Governo italiano per la questione ben nota di Centro Europa 7 s.r.l., che ha ottenuto da tre anni la concessione, ma non ha le frequenze in quanto occupate da Rete Quattro”.
25.— Con memoria depositata all’esito dell’istruttoria, l’Avvocatura generale dello Stato ha ripreso, ampliandole, le argomentazioni già contenute nel precedente atto di intervento ed ha sottolineato, inoltre, quanto segue.
Descrivendo il contesto televisivo digitale alla luce di quanto previsto dal decreto-legge n. 5 del 2001, la difesa erariale ritiene che i tempi non brevi di attuazione del piano analogico di assegnazione delle frequenze finirebbero con il sovrapporsi a “quelli dell’imprescindibile introduzione del digitale” (ritardandone il passaggio), con pesanti ricadute in termini economici per gli operatori, a causa della necessaria duplicazione degli investimenti, e per la stessa utenza, costretta a “risintonizzare gli apparecchi riceventi ed a riorientare le antenne e, successivamente, nuovamente costretta a risintonizzare gli apparecchi e ad acquisire set top box o nuovi televisori digitali”. L’Avvocatura aggiunge, inoltre, che la caducazione delle norme censurate non potrebbe condurre all’attuazione del piano analogico di assegnazione, stante “il congelamento della situazione di detenzione attuale” sino all’attuazione del piano digitale di assegnazione delle frequenze di cui al citato decreto-legge n. 5 del 2001.
La difesa erariale ribadisce, inoltre, che la questione sarebbe inammissibile in quanto inciderebbe sulla definizione delle modalità di attuazione e di messa a regime del sistema misto previste dal legislatore, nell’esercizio non arbitrario della propria discrezionalità, mediante la correlazione tra la fissazione di limiti di cumulo delle concessioni (art. 2, comma 6, della legge n. 249 del 1997) e la ristrutturazione della concessionaria pubblica, in modo che la stessa non possa avvalersi di più di due reti per la trasmissione di pubblicità (art. 3, comma 9, della legge citata). L’Avvocatura dello Stato afferma testualmente: “nel concreto, le parallele misure rispettivamente previste per il settore privato e per la concessionaria del servizio pubblico rientrano in un disegno unitario ed inscindibile del legislatore, che intende intervenire sulla struttura del mercato pubblicitario incidendo contemporaneamente su entrambi i maggiori soggetti, pubblico e privato, ad evitare alterazione e squilibri ulteriori. Le censurate disposizioni dell’art. 3, commi 6 e 7, risultano per tale verso intimamente collegate a quelle del comma 9 dello stesso articolo (nonché a quelle del comma 11 concernenti le emittenti che trasmettono in forma codificata via etere terrestre)”.
In ordine agli evocati parametri costituzionali, l’Avvocatura sottolinea l’infondatezza della censura riferita all’art. 136 della Costituzione, per essere diverso il regime transitorio in atto rispetto a quello giudicato con sentenza n. 420 del 1994.
Per quanto attiene all’art. 21 della Costituzione, la difesa erariale ritiene l’inammissibilità della questione, in quanto la stessa non si fonda “su di una valutazione diretta del rapporto tra i principi dell’art. 21 (quali enucleati dalla giurisprudenza) e la normativa censurata, ma si risolve essenzialmente in una denuncia di violazione dell’art. 136 della Costituzione”. In ogni caso — aggiunge l’Avvocatura — anche con riguardo al parametro dell’art. 21 della Costituzione direttamente investito, la inammissibilità della censura permarrebbe, in quanto “il rimettente avrebbe dovuto necessariamente darsi carico di ricostruire sia il concreto contesto fattuale e normativo caratterizzante la situazione attuale sia la platea complessiva degli operatori comunque legittimati all’esercizio”.
Nel presente giudizio, precisa la difesa erariale, il rispetto del principio del pluralismo dovrebbe essere valutato esclusivamente con riferimento all’art. 21 e non anche all’art. 41 della Costituzione, con consequenziale ininfluenza delle considerazioni espresse sul versante della concorrenza da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
L’Avvocatura ritiene, inoltre, che, rispetto alla situazione considerata nella citata sentenza n. 420 del 1994, il pluralismo delle voci sarebbe aumentato per il seguente ordine di motivi: a) possibilità attribuita alle emittenti nazionali con copertura inferiore al 75% del territorio di acquisire dalle emittenti locali impianti e rami di azienda (art. 1, comma 13, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545; art. 1, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2001); b) assegnazione provvisoria di frequenze di cui all’art. 3, commi 8 e 11, della legge n. 249 del 1997; c) diminuzione degli impianti delle reti R.T.I. (-39 Canale 5; -94 Italia 1; -76 Rete A) e aumento degli impianti di TMC (+83), di TMC2 (+101), di Rete A (+46), di Elefante Telemarket (+67), di Rete Capri (+22); d) presenza sul mercato delle c.d. syndications o network nazionali, “costituiti da un insieme di emittenti in possesso di concessione per la radiodiffusione televisiva in ambito locale che si accordano per irradiare lo stesso programma sul territorio complessivamente servito, così realizzando, nella sostanza, nel trasmettere con tale modalità, una rete nazionale”; detti circuiti, tenendo conto esclusivamente di quelli che servono singolarmente più di dieci regioni, sarebbero, secondo l’Avvocatura, quattro: Fox Kids, Italia 9, Odeon tv, Super six; e) la ricca offerta di canali televisivi da parte delle emittenti locali.
La difesa erariale si sofferma, infine, sul principio del pluralismo così come inteso nella sentenza n. 155 del 2002 di questa Corte e nelle direttive 2002/19/CE e 2002/21/CE del 7 marzo 2002.
In ordine all’asserita violazione dell’art. 3 della Costituzione, l’Avvocatura afferma che il parametro è evocato in modo generico dal rimettente “senza specificazione dei canoni riconducibili a tale norma ritenuti violati e senza alcun supporto motivazionale”; in ogni caso, rileva come non contrasterebbe con il principio di ragionevolezza l’adozione di un criterio di gradualità nel passaggio al nuovo sistema.
26.— La società Rete A s.r.l. evidenzia, nella memoria depositata, la incompletezza delle risposte rese all’esito dell’istruttoria. In particolare, ritiene che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni abbia fornito, relativamente agli assetti proprietari di TV Internazionale e di Tele+, dati parziali e non aggiornati (risalenti rispettivamente al 9 agosto 1995 e al 28 aprile 1995). La difesa della società osserva, inoltre, che mancherebbero del tutto i dati relativi a Tele+3 Omega TV (la sesta televisione nazionale controllata, si ritiene, dalla Fininvest fino al 1994). La parte contesta, infine, l’omesso riferimento al provvedimento adottato nell’ottobre del 1996 dal Garante dell’editoria, con cui era stata accertata la mancanza di controllo di Tele+ da parte della Fininvest, ancorché una situazione di controllo venisse riconosciuta esistente per il periodo antecedente; la deducente sostiene che, a tutt’oggi, persisterebbe detto controllo societario tramite il possesso e la gestione delle postazioni di trasmissione di Tele+ da parte di Elettronica Industriale, società di R.T.I.
In relazione alla raccolta delle risorse pubblicitarie, la società Rete A pone in evidenza l’illegittimità dell’attività realizzata dalla società Publitalia, la quale, essendo concessionaria esclusiva della raccolta pubblicitaria per le tre reti R.T.I., supererebbe il limite anticoncentrativo del 20%, non applicandosi ad essa, sempre secondo l’esponente, la disciplina transitoria prevista per le reti eccedenti.
Sui tempi del passaggio alla televisione in tecnica digitale, nonché sul merito della questione sollevata, la difesa della società ribadisce quanto sostenuto nei precedenti scritti difensivi, che avrebbe trovato conferma negli esiti dell’istruttoria svolta da questa Corte.
La predetta società, pertanto, conclude per l’accoglimento della prospettata questione, chiedendo, altresì, la declaratoria in via consequenziale della illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge n. 66 del 2001, per aver sancito il definitivo accantonamento del piano analogico.
27.— La società R.T.I. s.p.a., con memoria depositata all’esito dell’istruttoria, sostiene che il giudice rimettente avrebbe dovuto, seguendo criteri di consequenzialità logico-giuridica nella risoluzione della controversia sottoposta al suo esame, alla luce dei motivi del ricorso, accertare in via principale la legittimità delle procedure di rilascio dei titoli concessori e (a monte) degli atti di contenuto normativo. La conseguenza sarebbe stata — una volta caducate giudizialmente le concessioni assentite — l’automatico venir meno della base di calcolo dalla quale dipenderebbe la collocazione in posizione eccedentaria delle emittenti che superano i limiti anticoncentrativi fissati dalla legge. Con l’ulteriore conseguenza della perdita di qualsiasi rilevanza della questione sollevata, così da imporre alla Corte la restituzione degli atti al giudice a quo.
Nella memoria vengono ribaditi gli errori nei quali sarebbe incorso il giudice rimettente. Al riguardo, la difesa della società riporta gli esiti di uno studio tecnico, depositato agli atti, che avrebbe accertato che gli impianti censiti non coinciderebbero con quelli pianificati. Ciò dimostrerebbe che la temporanea sopravvivenza delle reti eccedenti non avrebbe intaccato la provvista di frequenze pianificate. Una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale provocherebbe, pertanto, la mera disattivazione delle reti eccedenti, “non assegnabili ad altri aspiranti e non utilizzabili ai fini (peraltro ormai accantonati) dell’adeguamento delle reti al piano”.
Viene ribadita, infine, la necessità di una restituzione degli atti al giudice a quo, a seguito della sopravvenuta fissazione del dies ad quem del regime transitorio da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonché della legge n. 66 del 2001. Quest’ultima, sottolinea la difesa delle società, avrebbe consentito che la sperimentazione avvenga direttamente sugli impianti analogici censiti, senza previo adattamento degli impianti stessi al piano analogico, per evitare investimenti vanificati dalla sopravvenienza del piano digitale.
Nel merito, la società deducente insiste nella dichiarazione di infondatezza della questione sollevata, ritenendo che l’attuale grado di pluralismo del sistema televisivo italiano sia rispettoso dei principi costituzionali. L’istruttoria avrebbe, infatti, dimostrato, secondo l’esponente, che in ciascun capoluogo di provincia ogni utente dispone di almeno quindici programmazioni nazionali e 10 locali. L’importanza del “pluralismo locale” sarebbe stata ribadita dallo stesso processo in atto di “trasformazione” di una rete RAI in una rete a prevalente vocazione regionalistica.
In relazione alla posizione di Centro Europa 7, la società R.T.I. sottolinea come la posizione di detta concessionaria sia uguale a quella delle altre, in quanto nessuna di esse ha ottenuto le frequenze “promesse nelle concessioni (pianificate)”; l’attuale situazione di Centro Europa 7 dipenderebbe esclusivamente dalla mancanza di impianti in esercizio censiti “sufficienti al momento del rilascio della concessione”. La parte evidenzia, inoltre, la “inspiegabile” mancanza di domanda di assegnazione provvisoria di frequenze (ex art. 3, commi 8 e 11, della legge n. 249 del 1997) da parte della predetta concessionaria. Ai fini della sperimentazione, quest’ultima potrebbe comunque avvalersi, ad avviso della società esponente, della possibilità di accedere con i propri programmi alle reti dei soggetti titolari di più di una concessione su scala nazionale.
Nell’ultima parte della memoria, la difesa della società R.T.I., oltre a ribadire la “discontinuità” tra la situazione attuale e quella esistente all’epoca della sentenza n. 420 del 1994, si sofferma sulla “svolta digitale”, evidenziando la irreversibilità della scelta “a pena di pericolo di grave ritardo tecnologico del Paese”.
28.— La società TV Internazionale s.p.a. e Beta Television s.r.l., nella memoria depositata — in relazione a parte del contenuto delle relazioni predisposte all’esito dell’istruttoria — sostengono quanto segue:
a) l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato e lo stesso Ministero delle comunicazioni — affermando rispettivamente che “la struttura del mercato … continua … come al tempo della sentenza della Corte costituzionale n. 420 del 1994“, e che le frequenze allo stato utilizzate sono “quelle censite ai sensi dell’articolo 32 della legge n. 223 del 1990” — avrebbero confermato la continuità della disciplina contenuta nella legge n. 249 del 1997 rispetto alla quella dichiarata incostituzionale con la citata sentenza n. 420 del 1994;
b) l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato avrebbe, altresì, attestato che la liberazione di frequenze terrestri potrebbe comportare la loro ricollocazione a vantaggio di operatori televisivi destinatari di concessione. Sul punto, vengono ritenute non condivisibili le affermazioni contenute nella relazione “istruttoria” del Ministero delle comunicazioni, in cui si ritiene che le principali ragioni della non attuazione del piano nazionale delle frequenze risiederebbero: 1) nel fatto che “i soggetti che hanno ricevuto [nel 1999] il decreto di diniego della concessione continuano a trasmettere sulla base di pronunce giurisdizionali”; le esponenti replicano che dette pronunce altro non sarebbero che ordinanze cautelari in relazione alle quali non sarebbe ancora conclusa la fase di merito e, in ogni caso, la copertura del territorio delle tre emittenti nazionali che ancora “sopravvivono” (Rete Capri, Rete Mia e Rete A) sarebbe assolutamente “risibile e disomogenea” ; 2) nella disciplina introdotta con la legge n. 66 del 2001, che avrebbe autorizzato la prosecuzione dell’esercizio della radiodiffusione anche da parte delle emittenti locali prive delle nuove concessioni (rilasciate nel 2001), purché in possesso di alcuni requisiti per l’ottenimento della concessione; la società replica sul punto che dette emittenti sarebbero soltanto 151 su un totale di 2019 reti locali e che, comunque, è stata chiesta la dichiarazione di incostituzionalità in via consequenziale delle disposizioni normative citate.
La difesa delle società ribadisce 1’ininfluenza dell’innovazione tecnologica digitale sulla attuale esigenza di garanzia del pluralismo nel settore radiotelevisivo, attesi i tempi lunghi per la diffusione delle nuove tecnologie, gli elevati costi di investimento, la mancanza di interesse delle imprese dominanti. Il quadro di riferimento non sarebbe neanche influenzato dalla convergenza multimediale, trattandosi, secondo quanto riferito dall’Agcom nella relazione istruttoria, di “un fenomeno ancora complessivamente marginale “.
Nell’ultima parte della memoria si richiamano, ai fini ricostruttivi della attuale concezione e necessità di tutela del pluralismo informativo, quanto contenuto: nella sentenza n. 155 del 2002 di questa Corte; nel messaggio del Presidente della Repubblica indirizzato alle Camere il 23 luglio 2002; nelle direttive 2002/19/CE; 2002/20/CE; 2002/21/CE; 2002/22/CE del 7 marzo 2002.
29.— Le società Prima TV s.p.a. e Europa TV s.p.a., rappresentate e difese dagli avvocati Felice Vaccaro, Giuseppe Morbidelli e Roberto Afeltra, hanno depositato due memorie.
Nella prima memoria le esponenti, dopo avere illustrato “la vicenda Tele+ nel sistema normativo”, sottolineano “l’equivalenza delle trasmissioni in chiaro e in codice” (confermata dall’art. 27 del d.P.R. 27 marzo 1992, n. 255, recante: “Regolamento di attuazione della legge 6 agosto 1990, n. 223, sulla disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato” e dall’art. 2 della legge 5 ottobre 1991, n. 327, recante: “Ratifica ed esecuzione della convenzione europea sulla televisione transfrontaliera, con annesso, fatta a Strasburgo il 5 maggio 1989”, nonché dalle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio del 7 marzo 2002), con l’unico elemento di differenziazione rappresentato dal rapporto contrattuale intercorrente, nel primo caso, tra emittente e sponsor, nel secondo tra emittente e abbonato. Da qui, l’assunta illegittimità del diverso regime antitrust previsto dalla legge n. 249 del 1997.
La difesa delle società sostiene che le misure adottate dal legislatore del 1997, nel regime transitorio, abbiano dato “tutela complessiva al sistema” mediante: la previsione del piano di ristrutturazione di RAI tre, ex art. 3, comma 9, della legge n. 249 del 1997; il meccanismo dell’assegnazione provvisoria delle frequenze, in base all’art. 3, commi 8 e 11, che dovrebbe tendere a garantire la pari illuminazione dell’area di servizio e di bacino, ma che di fatto sarebbe stato utilizzato illegittimamente attraverso l’assegnazione delle frequenze non indispensabili e di quelle provenienti dalla terza rete terrestre Tele+3 esclusivamente in favore di Beta Television, Rete A e TV Internazionale.
La parte aggiunge, inoltre, che l’art. 2, comma 4, della legge 14 gennaio 2000, n. 5, di conversione del decreto-legge 18 novembre 1999, n. 433 (Disposizioni urgenti in materia di esercizio dell’attività radiotelevisiva locale e di termini relativi al rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata su frequenze terrestri in ambito locale), avrebbe consentito la prosecuzione delle trasmissioni delle reti eccedenti anche in ambito locale.
La difesa delle predette società chiede, inoltre, un supplemento istruttorio per accertare il numero degli impianti non indispensabili, ex art. 3, comma 8, citato, e di quelli dismessi, ex art. 32 della legge n. 223 del 1990.
La difesa delle medesime società, poi, ribadisce quanto già sostenuto nei precedenti scritti difensivi, riprendendo l’ordine delle considerazioni svolte anche dalla società R.T.I. relativamente alla sopravvenuta irrilevanza della questione per l’avvenuto accantonamento del piano di assegnazione analogico a seguito dell’emanazione della legge n. 66 del 2001, nonché alla non fungibilità degli impianti “censiti” con quelli analogicamente “pianificati”.
A tal proposito, la stessa difesa ritiene che il numero complessivo degli impianti esercenti sul piano nazionale sarebbe sufficiente ad escludere che la concentrazione di tre reti in un unico soggetto superi il limite del 20%. Dall’entrata in vigore della legge n. 249 del 1997 ad oggi, detti impianti sarebbero i seguenti: Canale 5, Italia 1, Europa TV, Tele+Bianco, TV Internazionale (TMC), Beta television (TMC2), Centro Europa 7, Elefante Telemarket; le due reti eccedenti: Rete 4, Prima TV-Tele+Nero; le quattro emittenti autorizzate dal giudice amministrativo: Rete Capri, Rete Mia, Rete A, 7 Plus; i ripetitori di programmi esteri (individuati dal Ministero nel solo Telecentro Toscana); i consorzi ex art. 21 della legge n. 223 del 1990 individuati dal Ministero nel numero di tre; le tre reti RAI.
La mancata attuazione del piano di assegnazione, continua la difesa delle due società, non sarebbe dipesa dalla permanenza nell’etere delle reti eccedenti ma dalla presenza di oltre seicento emittenti locali; dalla mancata emanazione da parte dei Comuni del “regolamento sull’installazione degli apparati di ricezione delle trasmissioni radiotelevisive satellitari nei centri storici”; dai numerosi provvedimenti che, in tempi recenti, regioni, province e comuni hanno emanato in materia di tutela della salute e dell’ambiente dal c.d. inquinamento radioelettrico.
In relazione alla posizione della società Centro Europa 7, le predette società sottolineano, così come rilevato dalla società R.T.I., la “inspiegabile” mancanza di domanda di assegnazione provvisoria (ex art. 3, commi 8 e 11) di frequenze da parte di Centro Europa 7, così come la mancata impugnazione della “previsione contenuta all’art. 1 p. 3 del titolo concessorio rilasciatogli, di assentimento della rete pianifica dopo due anni”. La difesa delle società aggiunge che detta emittente, contrariamente a quanto dalla stessa assunto, trasmetterebbe dal 19 febbraio 1996 in consorzio, operante in almeno otto regioni per il periodo giugno-dicembre 2002.
In relazione alla posizione di TV Internazionale s.p.a., le predette società ritengono che la stessa non avrebbe mai avuto il legittimo esercizio di impianti richiesti dalla normativa di settore e, in particolare, dalla legge n. 249 del 1997 e dalla legge n. 78 del 1999. Sarebbe stato, infatti, accertato che tale emittente non avrebbe mai operato come impresa di ripetizione di programma estero, unica attività radiotelevisiva alla stessa consentita, avendo diffuso programmi in lingua italiana privi dei connotati richiesti per la “reale esterità” del programma, dal punto di vista nazionale interno, e della “normalità” del programma dal punto di vista del Paese di provenienza. Da qui l’assunto secondo cui, dalla prosecuzione del regime transitorio, essa nessun danno può aver subito.
Le società Prima TV s.p.a. e Europa TV s.p.a. concludono chiedendo nell’ordine: che la questione di legittimità costituzionale venga respinta; che venga espletato, se ritenuto opportuno, il supplemento istruttorio richiesto; che vengano restituiti gli atti al giudice rimettente per un riesame della rilevanza delle questioni sollevate.
30.— Nella seconda memoria le società Prima TV s.p.a. e Europa TV s.p.a. contestano la possibilità di una eventuale estensione in via consequenziale del presente giudizio di costituzionalità all’art. 3, comma 11, attesa la “diversità” del regime transitorio — derivante dal differente limite antitrust — previsto per le emittenti in chiaro e criptate.
31.— La Società Centro Europa 7 s.r.l. ha depositato una ulteriore memoria con la quale, oltre a ribadire le argomentazioni svolte nei precedenti scritti difensivi, si sofferma sul disegno di legge presentato dal Ministro delle comunicazioni al fine di criticarne, in particolare: l’art. 22 con cui si obbliga la RAI (e non Mediaset) a realizzare due reti digitali terrestri “con un costo pesantissimo (a carico dello Stato e quindi dei contribuenti)”; l’art. 21, “in virtù del quale “anche” Retequattro potrà continuare a trasmettere sostanzialmente sine die in totale dispregio dei principi sanciti dalla sentenza della Corte costituzionale n. 420 del 1994“.
Considerato in diritto
1.— Le questioni sottoposte all’esame della Corte riguardano l’art. 2, comma 6, e l’art. 3, commi 6 e 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo).
Secondo l’ordinanza del Tar del Lazio le predette norme:
a) nel demandare all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni di stabilire un periodo transitorio nel quale non venga applicato il limite imposto ad uno stesso soggetto di irradiare più del 20% dei programmi televisivi su frequenze terrestri in ambito nazionale;
b) nel consentire l’esercizio delle reti eccedenti i predetti limiti successivamente alla data del 30 aprile 1998, a condizione che “le trasmissioni siano effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo”, nonché “esclusivamente via cavo o via satellite” alla scadenza del termine indicato dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, “in relazione all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo”;
conferirebbero alla detta Autorità una facoltà non delimitata nel tempo e consentirebbero che la regolamentazione del settore, colpito dalla pronuncia di illegittimità costituzionale di questa Corte (sentenza n. 420 del 1994), sia ancora in atto, e si perpetui indefinitivamente, rinviando la nuova disciplina ad una data imprecisata, con violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), dei principi del pluralismo nella manifestazione del pensiero (art. 21 della Costituzione) e della libertà di iniziativa economica (art. 41 della Costituzione), nonché del giudicato costituzionale (art. 136 della Costituzione).
2.— Preliminarmente devono essere esaminate le eccezioni di inammissibilità variamente prospettate dalla difesa del Presidente del Consiglio dei ministri e di alcune parti costituite.
Le eccezioni sono infondate.
Va premesso che, ai fini della rilevanza delle questioni sollevate, la motivazione del rimettente appare complessivamente plausibile.
Il punto essenziale delle ragioni giustificative della proposizione delle questioni di legittimità costituzionale e della loro rilevanza nel giudizio sulla domanda di annullamento dei provvedimenti, emessi in data 28 luglio 1999, di attribuzione delle concessioni ed autorizzazioni per la radiodiffusione televisiva privata su frequenze terrestri in ambito nazionale, è stato evidenziato nell’ordinanza di rimessione. In quest’ultima, infatti, si sottolinea che la caducazione del regime transitorio comporterebbe che sia “incrementata la disponibilità delle frequenze da assegnare ad altri aspiranti, con evidente beneficio del pluralismo nella manifestazione del pensiero e nell’informazione”.
Nel contempo, il collegio rimettente precisa che l’obiettivo della sottoposizione delle questioni all’esame della Corte è quello di impedire la continuazione in modo indefinito — attraverso “una facoltà non delimitata nel tempo” — dell’assetto giudicato incostituzionale dalla sentenza n. 420 del 1994, con conseguenze sulla disponibilità delle frequenze, sul pluralismo informativo e, quindi, sulla legittimità delle impugnate concessioni ed autorizzazioni, nonché delle relative clausole.
3.— E’ ininfluente la circostanza che la rete analogica terrestre eccedente (in ambito nazionale) occupi frequenze terrestri non rispondenti (in tutto o in parte) ad una rete configurabile nel piano delle frequenze.
Infatti, vi sarebbero sempre frequenze che verrebbero liberate con la cessazione del periodo transitorio e l’avvio, per le reti eccedenti, del trasferimento delle trasmissioni esclusivamente sul cavo o sul satellite (combinato disposto dell’art. 3, commi 6 e 7, della legge n. 249 del 1997).
Allo stesso modo, una caducazione totale o parziale del denunciato art. 3, comma 7, della citata legge sarebbe in grado di produrre effetti indiretti sulle disposizioni, di cui ai commi 9 (terza rete Rai senza pubblicità) e 11 (rete eccedente di televisione a pagamento) che richiamano lo stesso comma 7 per fissare il termine di connessi ed interdipendenti periodi transitori (coincidenti anche nella data fissata dalla deliberazione Agcom 7 agosto 2001, n. 346). La conseguenza sarebbe sempre quella di consentire una diversa distribuzione delle risorse economiche derivanti dalla pubblicità, nonché, relativamente alla rete criptata eccedente, la liberazione di frequenze.
4.— Ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma che attribuisce all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il potere di stabilire il termine per la fine del regime transitorio, è ugualmente ininfluente la circostanza che, con deliberazione n. 346 del 2001 della stessa Autorità, sia sopravvenuta una prima (e non definitiva) fissazione in via amministrativa di detto termine. Né può, tantomeno, profilarsi l’ipotesi di una restituzione degli atti al giudice a quo, in quanto trattasi di atto amministrativo, che non può incidere sulla presente questione di legittimità costituzionale della norma che lo prevede, se non per confermare — attraverso l’attuazione concreta della stessa norma denunciata — il contenuto e i relativi dubbi sollevati sul comma 7 dell’art. 3 della legge n. 249 del 1997.
Infatti, il termine del 31 dicembre 2003, fissato in via amministrativa, è accompagnato — proprio in adempimento della previsione normativa relativa al raggiungimento di un “effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo” — da una espressa e motivata riserva di rivedere il termine stesso entro il 31 gennaio 2003. Nella motivazione è chiarita la ragione di tale riserva, ritenendosi opportuno “effettuare in data antecedente una verifica circa lo sviluppo dei sistemi alternativi di diffusione in modo da controllare se, all’avvicinarsi della data indicata, le previsioni assunte si rivelino corrette”.
In altre parole, è prevista una nuova valutazione — in un momento in cui è possibile disporre di un quadro di riferimento più certo — con il fine di variare il termine, posticipandolo o anticipandolo, all’esito della verifica del raggiungimento, rispettivamente, di un limite di quota inferiore al 35%, o superiore al 45%, delle “famiglie digitali” raggiunto al 31 dicembre 2002.
Giova subito sottolineare che — sulla base delle esaustive risultanze istruttorie e delle relative proiezioni, secondo i dati e le valutazioni di stima offerti dagli stessi organi preposti al settore delle comunicazioni, anche alla luce delle emerse difficoltà economiche e di sviluppo (sopravvenute ed imprevedibili alla data del 7 agosto 2001) — deve escludersi la realizzabilità in Italia in tempi congrui della soglia minima prevista di diffusione dei sistemi di trasmissione televisiva alternativi alla via terrestre analogica (cavo, satellite, digitale terrestre).
Segnatamente, infatti, il sistema di trasmissione via cavo si trova “a uno stato poco più che embrionale”.
Il sistema di trasmissione via satellite, come risulta dagli atti acquisiti, raggiunge un modesto numero di utenti.
Infine, la televisione digitale terrestre si trova ancora in una fase di mera sperimentazione.
Pertanto, il regime transitorio, agganciato al criterio dello sviluppo effettivo e congruo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite e via cavo (art. 3, comma 7, della legge n. 249 del 1997), non è destinato a concludersi in tempi ragionevolmente brevi. Tutti gli elementi raccolti dall’istruttoria conducono, anzi, a ritenere irrealizzabile, in periodi prossimi o almeno ragionevolmente susseguenti in maniera certa e definitiva, il rispetto del termine previsto in via amministrativa sulla base dei criteri fissati dal citato comma 7 dell’art. 3.
5.— Del tutto ininfluente, ai fini delle questioni sollevate, deve ritenersi anche l’invocato decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5 (Disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi), convertito, con modificazioni, nella legge 20 marzo 2001, n. 66.
Il predetto decreto contiene disposizioni riguardanti la televisione privata in ambito locale (art. 1, comma 1); la radiodiffusione sonora in tecnica digitale e anche analogica (art. 1, commi 2, 2-bis, 2-ter e 2-quater); la riduzione di inquinamenti da emissioni di radiodiffusione sonora e televisiva (art. 2, comma 1); le antenne per la telefonia mobile (art. 2, comma 1-bis); la sperimentazione e le agevolazioni per l’avvio dei mercati di programmi televisivi digitali su frequenze terrestri (art. 2-bis, commi 1 e 2); l’indicazione dell’anno 2006 entro il quale “le trasmissioni televisive di programmi e dei servizi multimediali su frequenze terrestri devono essere irradiati esclusivamente in tecnica digitale” (art. 2-bis, comma 5); e altri punti, infine, di interesse scientifico e di propulsione di nuove tecnologie.
Si tratta di aspetti estranei al presente giudizio e privi di riflesso sulle sollevate questioni di legittimità costituzionale, che investono l’attuazione del sistema delle misure anticoncentrative e il termine del relativo regime transitorio, incentrato sulle trasmissioni in ambito nazionale su frequenze terrestri con tecnica analogica.
6.— Nessuno ostacolo ad un esame del merito delle questioni sollevate può, inoltre, derivare dalla mancanza di assegnazione delle frequenze; dal preteso accantonamento del piano analogico; dalla attuale parziale localizzazione delle emittenti in siti non pianificati; dalle difficoltà pratiche di futura assegnazione provvisoria di frequenze; dalle esigenze di un ulteriore intervento legislativo per le modalità di messa a regime del sistema in seguito ad un eventuale superamento della fase transitoria.
Gli anzidetti profili attengono, invero, alle modalità di successiva attuazione di una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, nonché, in alcuni casi, alle esigenze di un ulteriore intervento legislativo. Come tali, detti aspetti possono incidere non sulla ammissibilità delle questioni sollevate, ma, semmai, sulla tipologia di decisione della Corte.
7.— Sul merito delle questioni di legittimità costituzionale proposte, occorre anzitutto sottolineare i seguenti punti.
A) Le questioni sollevate riguardano solo la radiodiffusione televisiva privata nazionale in chiaro su frequenze terrestri con tecnica analogica.
Tuttavia la sorte del censurato comma 7 dell’art. 3 della legge n. 249 del 1997 si riflette evidentemente sulle collegate previsioni di termine contenute nel comma 9 dello stesso articolo (relativo alla realizzazione da parte della RAI della terza rete senza pubblicità), e nel comma 11 (relativo alla rete eccedente che trasmette in forma codificata, c.d. televisione a pagamento).
B) La formazione dell’esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell’etere.
Detta occupazione di fatto è stata, peraltro, in varie occasioni per lunghi periodi temporali, legittimata ex post e sanata con il consentire “la prosecuzione delle attività delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti in funzione al 1° ottobre 1984” (decreto-legge 6 dicembre 1984, n. 807, recante: “Disposizioni urgenti in materia di trasmissioni radiotelevisive”, convertito, con modificazioni, nella legge 4 febbraio 1985, n.10, prorogato con decreto-legge 1° giugno 1985, n. 223, recante: “Proroga di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive”, convertito nella legge 2 agosto 1985, n. 397).
Anche per gli impianti in esercizio all’entrata in vigore della legge 6 agosto 1990, n. 223, recante: “Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato”, è stata data l’autorizzazione a “proseguire nell’esercizio… a condizione di avere inoltrato domanda per il rilascio della concessione” e fino ad un termine di 730 giorni (art. 32, comma 1; v. sentenza n. 408 del 1996), prorogato dal decreto-legge 19 ottobre 1992, n.407 (Proroga dei termini in materia di impianti di radiodiffusione), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 1992, n. 482.
I termini di prosecuzione sono stati, ulteriormente prorogati dai seguenti atti normativi: decreto-legge 27 agosto 1993 n. 323 (Provvedimenti urgenti in materia radiotelevisiva), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 1993, n. 422; decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 545 (Disposizioni urgenti per l’esercizio dell’attività radiotelevisiva e delle telecomunicazioni), convertito, con modificazioni, nella legge 23 dicembre 1996, n. 650; legge 31 luglio 1997, n. 249; legge 30 aprile 1998, n. 122 (Differimento di termini previsti dalla legge 31 luglio 1997, n. 249 relativi all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonché norme in materia di programmazione e di interruzioni pubblicitarie televisive); decreto-legge 30 gennaio 1999, n.15 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell’emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo 1999, n.78; decreto del ministro delle comunicazioni 28 luglio 1999.
La protrazione del termine è stata motivata: fino al luglio 1997, dall’attesa della riforma complessiva del sistema radiotelevisivo e della predisposizione del nuovo piano di assegnazione delle frequenze; fino al luglio 1999, dall’attesa del rilascio delle concessioni; in epoca successiva, dall’esigenza di attendere i tempi di attuazione del piano di assegnazione delle frequenze (approvato con deliberazione 30 ottobre 1998 dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni).
C) L’attuale sistema di radiodiffusione televisiva su frequenze terrestri con tecnica analogica mantiene immutata la caratteristica di ristrettezza delle frequenze e quindi di assai limitato numero delle reti realizzabili a copertura nazionale.
Il piano nazionale di assegnazione delle frequenze — sulla base di 51 canali pianificati (3 per ciascuna rete) — ha previsto 17 reti, di cui 11 assegnate alla radiodiffusione televisiva in ambito nazionale (3 utilizzate dalla televisione pubblica-RAI e 8 destinate a quella privata, sempre in ambito nazionale) e le rimanenti 6 reti, pari al 35,3%, riservate alle esigenze della radiodiffusione televisiva in ambito locale.
Rispetto a quella esaminata dalla sentenza n. 420 del 1994, la situazione di ristrettezza delle frequenze disponibili per la televisione in ambito nazionale con tecnica analogica si è, pertanto, accentuata, con effetti ulteriormente negativi sul rispetto dei principi del pluralismo e della concorrenza e con aggravamento delle concentrazioni. Si è passati, infatti, da una previsione di 12 reti nazionali (9 private, 3 pubbliche), ad 11 reti (8 private, 3 pubbliche), oltre alle televisioni criptate a pagamento. Alle televisioni private sono state rilasciate, in data 28 luglio 1999, soltanto sette concessioni, peraltro senza attribuzione di frequenze, mentre nella fase transitoria sono state mantenute in esercizio con le frequenze già utilizzate anche le tre reti private nazionali riconducibili ad unico soggetto.
8.— La descritta situazione di fatto non garantisce, pertanto, l’attuazione del principio del pluralismo informativo esterno, che rappresenta uno degli “imperativi” ineludibili emergenti dalla giurisprudenza costituzionale in materia. Questa Corte ha, infatti, costantemente affermato la necessità di assicurare l’accesso al sistema radiotelevisivo del “massimo numero possibile di voci diverse” (sentenza n. 112 del 1993), ed ha sottolineato l’insufficienza del mero concorso fra un polo pubblico e un polo privato ai fini del rispetto delle evidenziate esigenze costituzionali connesse all’informazione (sentenze n. 826 del 1988 e n. 155 del 2002).
L’obiettivo di garantire, tra l’altro, il pluralismo dei mezzi di informazione è stato sottolineato, in una prospettiva più ampia, anche a livello comunitario in recenti direttive: direttiva 2002/19/CE, relativa all’accesso alle reti di comunicazione elettronica, alle risorse correlate e all’interconnessione delle medesime (direttiva di accesso); direttiva 2002/20/CE, relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica (direttiva autorizzazioni); direttiva 2002/21/CE, che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica (direttiva quadro); direttiva 2002/22/CE, relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica (direttiva servizio universale).
In questo quadro la protrazione della situazione (peraltro aggravata) già ritenuta illegittima dalla sentenza n. 420 del 1994 ed il mantenimento delle reti considerate ancora “eccedenti” dal legislatore del 1997 esigono, ai fini della compatibilità con i principi costituzionali, che sia previsto un termine finale assolutamente certo, definitivo e dunque non eludibile.
9.— Tanto ritenuto è, tuttavia, da precisare che la esigenza di un equilibrato passaggio di riconversione del sistema di trasmissione delle reti eccedenti i limiti anticoncentrativi non esclude la legittimità sul piano costituzionale di un regime transitorio in cui si dilazioni temporaneamente l’applicazione, rispetto a situazioni preesistenti, dei limiti anzidetti.
Del resto, l’esistenza di un regime transitorio è stata già ritenuta legittima da questa Corte (sentenza n. 420 del 1994), la quale già in precedenza aveva precisato che la fase transitoria non poteva assumere “di fatto carattere definitivo”, senza che la Corte stessa effettuasse “una diversa valutazione con le relative conseguenze” (sentenza n. 826 del 1988).
La illegittimità costituzionale non investe il regime transitorio in deroga e nemmeno l’attuale prosecuzione, purché temporaneamente limitata, dell’esercizio delle emittenti in eccedenza rispetto ai limiti anzidetti (combinato disposto dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 3, commi 6, 9 e 11).
10.— Non sussiste, inoltre, il vizio denunciato derivante dal coinvolgimento, in funzione garantistica, dell’Autorità per le garanzie delle comunicazioni. Non è, infatti, l’affidamento della concreta determinazione del termine ad una Autorità amministrativa indipendente a comportare vizi di legittimità costituzionale del termine stesso, bensì il suo aggancio a criteri e modalità fissati dal legislatore, non idonei ad assicurare — legati come sono ai tempi di realizzazione dei sistemi alternativi di trasmissione — alcuna certezza di cessazione della fase transitoria entro un termine congruo e definitivo.
11.— L’individuazione di un termine finale, entro il quale possa avvenire la cessazione definitiva del regime transitorio dell’art. 3, comma 7, e delle collegate previsioni dei commi 9 e 11 della legge n. 249 del 1997, può essere ricavata dalla valutazione di congruità tecnica dei tempi di passaggio al regime definitivo effettuata dalla Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con la delibera n. 346 del 2001. L’Autorità ha indicato la data del 31 dicembre 2003 quale termine ritenuto sufficiente per le semplici operazioni di trasferimento delle reti analogiche eccedenti, tanto in chiaro che in forma codificata.
In altre parole, una volta esclusa la tollerabilità di una protrazione dell’anzidetto regime transitorio fino alla realizzazione di un congruo sviluppo della utenza satellitare e via cavo e di altri sistemi alternativi alla diffusione terrestre in tecnica analogica, può essere assunto quale termine di chiusura quello già ritenuto tecnicamente utilizzabile dall’Autorità. Ciò a prescindere dal raggiungimento della prevista quota di “famiglie digitali”, che rimane indipendente dalle operazioni tecniche di trasferimento verso sistemi alternativi a quello analogico su frequenze terrestri.
D’altro canto, la data del 31 dicembre 2003 offre margini temporali all’intervento del legislatore per determinare le modalità della definitiva cessazione del regime transitorio di cui al comma 7 dell’art. 3 della legge n. 249 del 1997.
E’ appena il caso di precisare che la presente decisione, concernente le trasmissioni radiotelevisive in ambito nazionale su frequenze terrestri analogiche, non pregiudica il diverso futuro assetto che potrebbe derivare dallo sviluppo della tecnica di trasmissione digitale terrestre, con conseguente aumento delle risorse tecniche disponibili.
12.— Sulla base delle esposte considerazioni, deve dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249, nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo. Ovviamente ciò è destinato a riflettersi sulla portata dei commi 9 e 11 dell’art. 3 della legge n. 249 del 1997 in forza dell’evidenziato collegamento con il comma 7 dello stesso art. 3, quale risultante dalla presente decisione .
Vanno, invece, dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 3, comma 6, della citata legge n. 249 del 1997, sollevate in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 136 della Costituzione.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 7, della legge 31 luglio 1997, n. 249 (Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo), nella parte in cui non prevede la fissazione di un termine finale certo, e non prorogabile, che comunque non oltrepassi il 31 dicembre 2003, entro il quale i programmi, irradiati dalle emittenti eccedenti i limiti di cui al comma 6 dello stesso art. 3, devono essere trasmessi esclusivamente via satellite o via cavo;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 6, e dell’art. 3, comma 6, della legge 31 luglio 1997, n. 249, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 21, 41 e 136 della Costituzione, con l’ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 20 novembre 2002.
Cesare RUPERTO, Presidente
Riccardo CHIEPPA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2002.