Sentenza 10 luglio 1974 n. 226
Sentenza 10 luglio 1974, n. 226 (Gazzetta ufficiale 17 luglio 1974, n. 187); Pres. BONIFACIO P., Rel. A. DE MARCO, imp. Sacchi; interv. Pres. Cons. ministri (Avv. dello Stato SAVARESE).
Radiotelevisione e servizi radioelettrici – Servizi di televisione via cavo – Questione fondata di costituzionalità (Costituzione, art. 21, 41, 43; d. pres. 29 marzo 1973 n. 156, approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni, art. 1, 183, 195).
La Corte, ecc. – 1. – Il d. pres. 29 marzo 1973 n. 156 (che ha approvato il “t. u. della disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni”), all’art. 1, nell’elencare i servizi che appartengono in esclusiva allo Stato, unifica nella sola voce “telecomunicazioni” tutti i mezzi di comunicazione a distanza che nel precedente testo unico, approvato con r. d. 27 febbraio 1936 n. 645, erano specificamente elencati in mezzi telegrafici, telefonici, radioelettrici ed ottici.
In relazione a tale riserva esclusiva, l’art. 183 del nuovo testo unico statuisce che “nessuno può eseguire od esercitare impianti di telecomunicazioni senza avere ottenuto la relativa concessione” e l’art. 195 prevede, per chi “stabilisca od eserciti senza la concessione prescritta, impianti di telecomunicazioni, l’ammenda da lire 10.000 a lire 100.000 se il fatto non si riferisce ad impianti radioelettrici, l’arresto da tre a sei mesi e l’ammenda da lire 20.000 a lire 200.000 se il fatto riguarda impianti radioelettrici “. All’ultimo comma l’art. 195 stabilisce: “Ai fini delle disposizioni del presente articolo, costituiscono impianti radioelettrici anche quelli trasmittenti o ripetitori, sia attivi che passivi, per radioaudizioni o televisione, nonché gli impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi realizzati via cavo o con qualunque altro mezzo “.
Come si è riferito in narrativa, il Pretore di Biella, nel corso di un procedimento penale a carico di un imputato del reato preveduto dal citato art. 195 per avere stabilito ed esercitato un impianto di televisione via cavo, ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale di detto art. 195 d. pres. 29 marzo 1973 n. 156. in riferimento agli art. 21, 41, 43, 76 e 77 Costituzione.
Più precisamente il pretore, affermando che, in sostanza, con la denunciata norma, si è esteso il monopolio statale alla TV via cavo, contesta la legittimità costituzionale di tale estensione sotto i seguenti profili:
a) la prescrizione della concessione amministrativa per l’esercizio di impianti televisivi via cavo e le sanzioni penali per il caso di esercizio senza concessione, escludendo la libera manifestazione del pensiero attraverso il mezzo televisivo,. sono in contrasto con l’art. 21, 1° comma, Costituzione; che sancisce il diritto di tutti di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione, nonché, qualora la televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa, anche con i comma secondo e terzo dello stesso art. 21;
b) giacché i canali realizzabili mediante cavo sono illimitati e di costo non rilevante, l’estensione del monopolio statale alla televisione via cavo, non potendo giustificarsi in base all’esistenza di un monopolio di fatto dovuto a ragioni tecniche, come per la televisione via etere, contrasta con gli art. 41 e 43 Costituzione;
c) con la legge 28 ottobre 1970 n. 775, il Governo era stato delegato a raccogliere in testi unici disposizioni vigenti relative a procedimenti amministrativi, apportandovi le modificazioni e integrazioni necessarie per il loro coordinamento al fine di renderle più accessibili e comprensibili: l’art. 195 eccede tali limiti poiché, esorbitando dalla delega, include tra gli apparecchi radioelettrici gli impianti di televisione via cavo, che tali non sono, ed estende ad essi una normativa che in precedenza non era applicabile, configurando una nuova ipotesi di reato, in violazione degli art. 76 e 77 Costituzione.
In relazione a tali questioni si rileva quanto segue.
2. – Nonostante il Pretore di Biella abbia indicato nell’art. 195 d. pres. n. 156 del 1973 la norma impugnata, dal contesto dell’ordinanza di rimessione si rileva che le questioni di legittimità costituzionale sollevate, investono in via generale la stessa riserva allo Stato dell’impianto e dell’esercizio di apparecchi di televisione via cavo, e cioè l’art. 1 t. u., nella parte in cui ricomprende la televisione via cavo fra i servizi di telecomunicazioni che appartengono in esclusiva allo Stato e l’art. 183, il quale; anche con riferimento agli impianti di televisione via cavo, stabilisce che “nessuno può eseguire o esercitare impianti di telecomunicazione senza avere ottenuto la relativa concessione”.
Pertanto, ancorché manchi una specifica denuncia di tali norme, essendo queste implicitamente e univocamente contenute nell’ordinanza di rimessione, questa corte, in conformità con la sua costante giurisprudenza al riguardo, non può esimersi dall’esaminare le questioni sollevate nella loro effettiva ampiezza.
Ciò premesso, va osservato, anche se nell’ordinanza di rinvio è prospettato per ultimo ed il patrocinio della parte privata ha chiesto che in ogni caso vengano esaminate anche le altre questioni, che pregiudizi ale e, se fondato, assorbente è il denunziato eccesso di delega.
Un tale eccesso, però, non sussiste.
Prima dell’emanazione del d. pres. n. 156 del 1973, l’art. 1 r. d. 27 febbraio 1936 n. 645 già riservava allo Stato l’esercizio di tutti gli impianti di telecomunicazioni, che i privati potevano esercitare solo previa concessione amministrativa (art. 166); l’art. 178 (vigente nel testo modificato dall’art. 2 legge 14 marzo 1952 n. 196) puniva penalmente la lesione di tale riserva, con sanzioni diverse a seconda che il fatto riguardasse o non riguardasse impianti radioelettrici. Il nuovo codice postale, mantenendo all’art. 1 la riserva, non ha innovato la precedente disciplina, limitandosi a dare, con la normativa dettata all’art. 195, una interpretazione autentica di essa, stabilendo, allo scopo di eliminare ogni incertezza circa l’applicazione delle sanzioni da esso previste, che tutti gli impianti di distribuzione di programmi sonori o visivi vanno considerati impianti radio elettrici. Non vi è, quindi, violazione degli art. 76 e 77 Costituzione, essendosi il legislatore delegato limitato ad apportare alla normativa già vigente quelle interpretazioni necessarie a renderla più comprensibile, come la legge di delegazione lo aveva autorizzato a fare.
Ugualmente disattese vanno le censure prospettate in riferimento all’art. 21, 2° e 3° comma, Costituzione, nel presupposto che la televisione via cavo possa essere assimilata alla stampa.
Tale presupposto, infatti, non sussiste, in quanto la stampa presenta caratteristiche peculiari, che ne hanno imposto una specifica disciplina. la quale non può di per sé estendersi ad altri mezzi di espressione e comunicazione del pensiero di diversa natura, tra i quali è da annoverarsi la TV via cavo.
3. – Prima di passare all’esame delle altre questioni prospettate con l’ordinanza di rinvio, occorre a questo punto precisare che la differenza pratica di maggior rilievo ai fini del presente giudizio, fra televisione via cavo e televisione via etere, è data dalla limitatezza dei canali realizzabili via etere e dall’illimitatezza dei canali realizzabili via cavo, potendosi questi aumentare indefinitamente moltiplicando il numero dei cavi, com’è pacificamente e universalmente riconosciuto.
In Europa la televisione via cavo non ha avuto finora attuazione e diffusione su vasta scala, essendo ancora allo stato sperimentale ed incominciando a sorgere solo da poco impianti di un qualche interesse. Essa ha avuto, invece, un notevole sviluppo in Giappone e negli Stati Uniti d’America, dove la sua realizzazione è affidata all’iniziativa privata, previa licenza governativa. In entrambi questi Stati l’impiego della televisione via cavo è attualmente limitato all’integrazione della televisione via etere, le cui trasmissioni vengono fatte pervenire via cavo in località lontane o isolate, nonché a trasmissioni autonome a corto raggio, interessanti agglomerati urbani.
E’ di particolare interesse rilevare che negli Stati Uniti, dove è in atto un largo uso della televisione via cavo e tale mezzo di comunicazione si va sviluppando da oltre venti anni, le reti di televisione via cavo hanno tutte carattere locale e le famiglie da esse servite, alla fine del 1971, non superavano la cifra di 5.900.000 su altre 200 milioni di abitanti.
L’ordinanza di rinvio e la parte privata. richiamandosi ai principi affermati con la sentenza n. 59 del 1960 di questa corte, a sostegno della dedotta questione di legittimità costituzionale, pongono appunto in evidenza che, se anche per la televisione via etere permane tuttora il. limite derivante dagli accordi internazionali vigenti in materia, è invece possibile realizzare via cavo un numero notevole d’impianti televisivi. Con la conseguenza che per la televisione via cavo non sussisterebbe quel pericolo di costituzione di monopoli od oligopoli privati, di fronte al quale, secondo la citata sentenza, esigenze prevalenti d’interesse pubblico giustificherebbero il monopolio statale.
L’Avvocatura dello Stato, per contro, obietta che il pericolo dell’oligopolio è insito nel costo degli impianti e vi è un interesse pubblico a che la televisione via cavo sia realizzata secondo una prospettiva globale, che eviti dispersione di risorse e “duplicazione”,. d’impianti e comprenda, coordinandoli, tutti i sistemi di telecomunicazione su piano nazionale.
A sostegno di tale tesi è stato allegato un parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel quale appunto si afferma l’opportunità di evitare iniziative settoriali, che darebbero luogo ad una proliferazione di reti parziali, financo sovrapposte, con conseguente dispersione di mezzi che andrebbero, invece, convogliati tutti al fine della realizzazione di un’unica rete nazionale, comprensiva della totalità degli impianti di telecomunicazioni e non solo di quelli televisivi.
In relazione a dette affermazioni va rilevato che il costo di un impianto di televisione via cavo, il quale comprenda l’intero territorio nazionale o comunque la massima parte di esso, potrebbe essere talmente elevato da dare luogo a gravi pericoli d’insorgenza di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora la sua realizzazione non resti riservata allo Stato ma sia intrapresa da privati.
Pertanto le stesse ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della radiotelevisione via etere giustificano la riserva allo Stato degli analoghi servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi indicate.
Va peraltro aggiunto che siffatta riserva, per essere costituzionalmente legittima, deve essere accompagnata da una disciplina che, nei sensi richiesti dalla sentenza n. 225 depositata in data di oggi, è essenziale per garantire che la gestione sia indirizzata ai fini in vista dei quali è consentita la sottrazione alla libera iniziativa dei privati. A tale proposito la corte rinvia alle indicazioni contenute in quella decisione non senza aggiungere che, in relazione alla maggior disponibilità dei canali di trasmissione, deve essere dato più ampio spazio al diritto di accesso.
4. – Diverso discorso deve essere fatto per quanto riguarda l’installazione e l’esercizio di reti radiotelevisive via cavo a raggio limitato che, per la loro dimensione locale, non integrino, nei sensi innanzi detti, quella fattispecie per la quale legittimamente può disporsi la riserva allo Stato.
Invero l’art. 41 Costituzione statuisce, al primo comma, che l’iniziativa economica privata è libera. L ‘art. 43 statuisce che solo a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente allo Stato, a enti pubblici e a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. L’art. 21, 1° comma, statuisce che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
Orbene, gli impianti di televisione via cavo a carattere locale non hanno, entro certi limiti, un costo non sostenibile da singole imprese, come dimostrano l’esperienza estera e la stessa modesta esperienza italiana al riguardo. Il che è riconosciuto anche nel sopra menzionato parere del Consiglio superiore tecnico delle telecomunicazioni, nel quale si afferma che, in mancanza della riserva allo Stato, in Italia gli impianti di televisione via cavo sarebbero destinati a proliferare, dando luogo ad una pluralità di reti parziali e non, quindi, a situazioni di monopolio od oligopolio.
Di fronte a tale situazione, consegue che va rilevata, limitatamente all’installazione e all’esercizio di reti locali di televisione via cavo, la carenza di quei fini di utilità generale che potrebbero, secondo la giurisprudenza di questa corte, legittimarne a norma dell’art. 43 Costituzione la riserva allo Stato, disposta dall’art. 1 d. pres. n. 156 del 1973, ribadita dall’art. 183 e sanzionata penalmente dall’art. ‘195. Non si vede infatti quale “utilità generale” possa avere, nel nostro ordinamento costituzionale, inibire; comprimendo l’iniziativa privata, la realizzazione di una pluralità di reti televisive via cavo, attraverso le quali sia più largamente attuata la libertà di manifestazione del pensiero sancita dal 1° comma dell’art. 21 Costituzione.
Tale “utilità generale”, va ulteriormente sottolineato, come non può essere ravvisata nell’esigenza di evitare il pericolo del costituirsi di oligopoli privati, il quale non sussiste e comunque, anche a volere aderire alle opinioni più pessimistiche, non è più grave di quello esistente per la stampa quotidiana e periodica, attività questa che nessuno osa pretendere di riservare allo Stato, cosi non è neppure ravvisabile nell’opportunità di realizzare il sopra menzionato progetto, tuttora in fase di elaborazione, di organizzare un servizio globale di telecomunicazioni. Lo Stato, infatti, ben può procedere alla sua realizzazione pur senza vietare gli impianti locali privati di televisione via cavo e senza comprimere le libertà garantite dagli art. 21 e 41 Costituzione.
Ciò non significa, peraltro, che il legislatore non possa disciplinare con legge l’installazione e l’esercizio delle reti private di televisione via cavo, essendo tale installazione od esercizio strettamente collegati ad interessi generali e dovendo perciò essere attuati in armonia e non in contrasto con i suddetti interessi.
Quindi, anche se non sussistono per le reti locali di televisione via cavo, come del resto per la generalità delle attività imprenditoriali, ragioni di “utilità generale” che ne giustifichino una riserva allo Stato, la loro installazione e il loro esercizio possono essere senz’altro legittimamente ed opportunamente disciplinati con legge, in modo da assicurare che, nel rispetto della libertà di manifestazione del pensiero e d’iniziativa economica, siano salvaguardati gli interessi pubblici, che, in varia guisa, possono entrare in giuoco.
All’uopo, pertanto, potrà stabilirsi che sia l’installazione sia l’esercizio siano subordinati ad autorizzazione amministrativa, da rilasciarsi ove sussistano le condizioni previste dalla legge.
Naturalmente, quando concorrano tali condizioni, l’autorizzazione è vincolata e non meramente discrezionale, con tutte le conseguenze che tale sua natura comporta nel nostro ordinamento.
5. – In conseguenza di quanto fin qui si è detto la riserva allo Stato dei .servizi radiotelevisivi via cavo, cosi come disposta dalle norme impugnate, risulta illegittima per il concorso di due fondamentali motivi: a) perché essa include anche attività che, nei sensi anzidetti, non possono essere sottratte all’iniziativa dei privati; b) perché, nella parte di legittima operatività, essa non soggiace ad una disciplina sufficiente a garantire il raggiungimento dei fini in vista dei quali la Costituzione la consente.
Va dichiarata, in conseguenza, nei sensi di cui in motivazione, l’illegittimità Costituzionale dell’art. 1 d. pres. 29 marzo 1973 n. 156, nella parte in cui riserva allo .Stato anche l’installazione e l’esercizio di reti locali di televisione via cavo; dell’art. 183 di detto decreto, nella parte in cui vieta l’installazione e l’esercizio di tali reti senza avere previamente ottenuto la relativa concessione; dell’art. 195 di tale decreto, nella parte in cui punisce tale installazione ed esercizio senza la previa concessione.
Per questi motivi, dichiara l’illegittimità costituzionale degli art. 1, 183 e 195 d. pres. 29 marzo 1973 n. 156 (col quale è stato approvato il testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni), nelle parti relative ai servizi di televisione via cavo.